Distruzione della domanda, il prezzo da pagare per sconfiggere l’inflazione?

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È sempre più accettato che il processo di distruzione della domanda – con i suoi inevitabili rischi di recessione – sia un prezzo da pagare per contenere i futuri prezzi al consumo che pagheremo tutti. Le banche centrali sono ora determinate a vincere la partita dell’inflazione.

Alcune partite, tuttavia, sono più semplici di altre. Mentre la Fed deve affrontare la sfida bidimensionale di sacrificare la crescita, seguendo un approccio Volckeriano al controllo dell’inflazione, per altre banche centrali la sfida appare in tridimensionale. La BCE, ad esempio, deve affrontare anche i rischi di frammentazione, poiché le tensioni di una politica monetaria più restrittiva risvegliano le preoccupazioni sulla sostenibilità dei debiti periferici, riportando in auge lo spettro delle crisi passate del 2020, 2018 e 2011-12.

La BCE ha ora poco tempo per progettare uno strumento d’emergenza legalmente conforme ed efficace sul mercato per salvare ancora una volta una periferia sempre più indebitata. Per la PBoC, la banca centrale cinese, c’è da considerare l’aspetto macroprudenziale, dato l’estremo livello di indebitamento del settore corporate e le ampie e crescenti crepe dell’ultimo anno nel settore immobiliare, oltre alle persistenti sfide poste dal Covid. La Bank of Japan si trova ad affrontare un mix unico di rischio macroprudenziale e di liquidità del mercato dei titoli di stato giapponesi, in mezzo al tradizionale scontro tra gli ancoraggi al mercato della banca centrale (in questo caso l’ancoraggio del controllo della curva dei rendimenti) e le forze di mercato, dato che la sua politica prevalente è ora apertamente messa in discussione.

Con l’inflazione in continua crescita e con il picco non ancora pienamente visibile, un potenziale sollievo dall’aumento aggressivo dei tassi e dalla volatilità di mercato ad esso associata sembra ancora lontano. In una sola settimana la Fed ha effettuato il rialzo dei tassi più consistente dal 1994, la Banca nazionale svizzera ha aumentato i tassi di 50 punti base e la BCE si è riunita di emergenza prima di effettuare il primo rialzo dei tassi in undici anni.

Un regime di tapering prolungato

Per i mercati obbligazionari, ciò significa che rimaniamo in un “regime di tapering” che ha dominato il primo semestre del 2022, in cui i rendimenti reali aumentano in concomitanza dell’allargamento degli spread del credito, e con un dollaro più forte. In tempi recenti, una correlazione positiva tra rendimenti governativi e credito (cioè rendimenti più alti, spread più ampi) è stata osservata in precedenza solo per una questione di uno o due mesi (il “taper tantrum” di maggio-giugno 2013, il “Bund tantrum” di aprile 2015, o il breve ma brusco sell-off del credito USA nel quarto trimestre 2018).

Il 2022 ha offerto un periodo molto più prolungato di regime di tapering, che non si vedeva dagli anni Settanta. Alla fine del 2021 abbiamo notato che la volatilità stava aumentando. Ciò significa che ci sono ancora pochi posti dove trovare riparo nei mercati obbligazionari sulla parte lunga, a parte forse i titoli di Stato cinesi, in un contesto di rendimenti profondamente negativi di benchmark, passivi ed ETF.

A nostro avviso, ciò significa anche la necessità di rimanere pazienti e prudenti nel decidere quando aprire posizioni lunghe sui tassi e sul credito. La buona notizia è che pensiamo di vedere le cedole nominali delle obbligazioni ai massimi da oltre un decennio prima della fine dell’anno e, dati i bruschi movimenti sperimentati ogni settimana, il necessario repricing è in corso.

Per la Fed il 75 è il nuovo 25

All’inizio del 2022, il dot-plot della Fed prevedeva solo 4 rialzi dei tassi da 25 bps ciascuno per un totale di 100 punti base per l’anno. Al 20 giugno sono già stati raggiunti 150 bps e, con un potenziale rialzo da 75 bps seguito da uno da 50 bps alle prossime due riunioni della Fed, i Fed funds potrebbero facilmente raggiungere il 3% entro la fine di settembre. Una volta che i tassi dei Fed funds avranno superato i rendimenti dei Treasury a 2 anni, inizieremo a vedere opportunità per posizionarsi sui titoli di duration.

La recessione è ormai un’eventualità

Già tre mesi fa abbiamo parlato dell’aumento delle probabilità di recessione. Una visione che sembra attualmente prevalente nei mercati è l’idea che la recessione sia ancora lontana di qualche anno, sulla base dei ritardi della politica monetaria, della forte crescita prevalente, degli elevati livelli dei risparmi delle famiglie, del basso tasso di disoccupazione e dei tradizionali ritardi tra il momento dell’inversione della curva dei rendimenti ad una recessione.

La correzione dei prezzi di inizio di giugno, al di là di quanto visto da inizio anno, suggerisce che l’opinione stia iniziando a cambiare, con molti operatori di mercato che si stanno affrettando a spostarsi dalle parti più rischiose del mercato. Per troppo tempo, in mezzo a una quantità eccessiva di denaro a buon mercato, molti investitori hanno inseguito ciecamente i rendimenti delle criptovalute, delle SPAC e di tutti i più recenti prodotti sintetici generati in un contesto di mercato rialzista, che ricordano i fondi d’investimento degli ultimi anni ’20 del Novecento, i titoli azionari delle dotcom prive di utili della fine degli anni ’90 o i CDO dell’era precedente al 2008. Le aziende a lunga duration e non ancora in grado di generare utili sono state troppo premiate dai mercati, in un modo storicamente troppo familiare. Ora le cose stanno cambiando. Ma questo non significa ancora che la recessione sia già stata prezzata.