Pessimismo dilagante

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La scorsa settimana a Washington si sono tenuti i lavori del Fondo monetario internazionale (FMI) e della Banca mondiale. Si tratta di un evento che si ripete ogni due anni e che riunisce istituzioni finanziarie e investitori da tutto il mondo. Quest’anno le discussioni sono state caratterizzate da uno spiccato pessimismo.

Come capita sovente di questi tempi, l’incontro è stato preceduto da un corposo taglio delle stime economiche da parte della Banca mondiale e del FMI, che ora prevedono una recessione nel 43% dei Paesi monitorati, cumulativamente pari a oltre un terzo del PIL globale.

Questo pessimismo è in larga misura legato all’inflazione e ai conseguenti rialzi dei tassi. Praticamente tutte le maggiori banche centrali, a eccezione della People’s Bank of China e della Bank of Japan, continueranno ad alzare i tassi simultaneamente fino al primo trimestre del prossimo anno e ciò potrebbe avere ramificazioni inaspettate, per esempio portando a improvvise tensioni sulla liquidità.

Ne è un esempio la crisi lampo attraversata dal Regno Unito e dai fondi pensione britannici nelle scorse settimane, che ha obbligato la Bank of England a deviare dalle strategie annunciate di riduzione del proprio bilancio per comprare titoli di Stato in una sorta di «whatever it takes», oltre a portare alla destituzione del Cancelliere Kwarteng. I mercati finanziari in questo periodo sono fragili e il nervosismo aleggia tra gli investitori; il margine di errore è risicato anche per gli emittenti con un rating elevato.

Le preoccupazioni non si fermano certamente a inflazione e tassi. La situazione geopolitica è tesa come durante la guerra fredda: non si intravede la fine del conflitto in Ucraina e anche i rapporti tra Stati Uniti e Cina sono ai minimi storici.

In Europa si teme per le forniture di gas e l’elevato costo dell’energia rende difficile far quadrare i conti di aziende e famiglie. Stati Uniti e Cina sono colpiti in modo minore dalla crisi energetica, ma gli investitori temono restrizioni nei flussi di capitali, merci e tecnologia. Per esempio, il governo americano ha annunciato due settimane fa controlli più stretti sulle esportazioni di tecnologie avanzate alla Cina, in particolar modo per quanto riguarda l’intelligenza artificiale.

In questo contesto, i mercati restano molto volatili e, nonostante alcuni brevi rimbalzi tecnici, gli investitori sembrano essere posizionati prevalentemente per scenari negativi. Ad esempio, la liquidità nei fondi azionari è vicina ai massimi storici e anche il monitoraggio degli algoritmi attivi sul mercato indica che hanno ridotto la propria esposizione.

Per quanto sia complessa la situazione, non ci sembra che ci siano condizioni simili alle grandi crisi del passato. Infatti, gran parte del settore bancario, sia in Europa che negli Stati Uniti, è ben capitalizzato e il settore privato presenta un livello d’indebitamento inferiore rispetto a inizio secolo.

In ogni caso, affinché le borse possano mettere a segno un recupero sostenibile dovranno emergere indicazioni di una chiara discesa dell’inflazione americana, e magari qualche segnale di distensione sul fronte dell’Ucraina, viste le implicazioni per l’Europa.

Nei prossimi mesi ci aspettiamo una fase laterale per le borse caratterizzata da elevata volatilità. Tuttavia, l’azionario globale viene da una discesa del 25% da inizio anno e le valutazioni implicano già una contrazione degli utili a doppia cifra. Il rapporto prezzo/utili dell’indice azionario globale MSCI ACWI è sceso da un massimo di 20x lo scorso anno fino a 13x (la media storica è di 14,5x).

Occorre inserire le difficoltà di breve termine, e la possibile riduzione degli utili, nel contesto di un terzo trimestre di quest’anno che sembra ancora forte e un quadro di medio termine incoraggiante per gli investitori a queste valutazioni.

Per questo non ci sembra opportuno assumere una posizione netta a favore di un determinato scenario di breve termine, peraltro imprevedibile, mentre vediamo più favorevolmente una redistribuzione delle posizioni all’interno delle asset class per mitigare eventuali shock.

Manteniamo una preferenza per i titoli value, che presentano valutazioni contenute, e quelli che distribuiscono buoni dividendi. Nei primi nove mesi dell’anno l’indice MSCI World Value ha sovraperformato quello Growth di oltre 10 punti percentuali. Questo andamento ci sembra destinato a proseguire, dato che l’inflazione dovrebbe mantenersi sopra i target delle banche centrali ancora per diversi mesi e, di conseguenza, i tassi continueranno a salire.

Inoltre, possono venire in aiuto settori difensivi come sanità e beni di prima necessità, tradizionalmente meno esposti al ciclo economico. Siamo invece più cauti sulle aree e i settori dove le valutazioni sono ancora generose, come gli Stati Uniti e la tecnologia.

Nel reddito fisso privilegiamo le obbligazioni di alta qualità e i titoli di credito con buon rating. I rendimenti sono tornati a essere interessanti e probabilmente vicini al picco per questo ciclo economico, almeno per quanto riguarda gli Stati Uniti. Non si possono escludere nuove correzioni, ma nel passato investire con rendimenti simili ha consentito di ottenere buoni ritorni a medio termine.

Siamo cauti sulle classi più rischiose, in particolar modo il comparto high yield statunitense, che offre rendimenti molto elevati ma spesso risente di una liquidità limitata; questi strumenti possono quindi dimostrarsi particolarmente volatili in un contesto economico incerto.

Inoltre, in una fase come questa gli investitori possono prendere in considerazione anche strategie di protezione del capitale o, qualora la loro esposizione al mercato sia inferiore al livello desiderato nel lungo termine, esporsi monetizzando la volatilità.