Green IT, Boom d’emissioni di gas serra causate dall’industria digitale

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Se il settore digitale fosse una nazione, si posizionerebbe come il 5° maggiore emettitore di anidride carbonica a livello globale, contribuendo per circa il 3,8% del totale delle emissioni. Si tratta di una percentuale che supererebbe le emissioni del Giappone ed è addirittura 4 volte superiore a quelle della Francia. Tuttavia, se questa è la fotografia del presente, il futuro non sembra essere migliore: come riporta uno studio comparso recentemente sulla rivista scientifica Nature, si prevede infatti che le emissioni di gas serra dell’industria digitale passeranno dal 1,6% del 2017 al 14% entro il 2040. “Numeri impressionanti che ci comunicano un’imperativa necessità di azioni immediate da parte delle aziende per rendere il settore digitale più sostenibile, mitigando così il suo impatto ambientale in rapida crescita”, ha commentato Davide Bianchi, Senior Technical Lead di Mia-Platform.

Nella costante evoluzione del mercato globale, la sostenibilità è diventata un punto di attenzione per le organizzazioni che aspirano a costruire un futuro più attento e responsabile nei confronti delle persone e del pianeta. In questo contesto, il concetto di “Green IT” emerge come catalizzatore fondamentale per ridurre l’impatto ambientale delle tecnologie dell’informazione e orientare le aziende verso pratiche più sostenibili, ormai improrogabili. Esaminando infatti l’impatto ambientale del settore digitale, si è stimato che, se questo fosse una nazione, si collocherebbe al 5° posto tra i maggiori emettitori di anidride carbonica a livello mondiale, contribuendo al 3,8% delle emissioni totali. Un valore che supererebbe le emissioni del Giappone ed è addirittura 4 volte più elevato di quelle della Francia. Oltre alle emissioni di CO2 generate dai dispositivi digitali, che sono passate dal 2% nel 2008 al 3,7% nel 2020, stando ai dati riportati nel report Lean Ict – Towards Digital Sobriety, particolarmente preoccupante è anche l’impatto delle tecnologie ad alta intensità energetica come la blockchain e l’intelligenza artificiale, che richiedono una grande quantità d’energia per l’elaborazione di calcoli complessi e risorse computazionali. Secondo la Green Software Foundation, l’aumento del consumo energetico da parte di queste tecnologie potrebbe portare le emissioni dell’ICT al 33% delle emissioni totali di gas serra entro il 2050. D’altronde, secondo uno studio comparso recentemente sulla rivista scientifica Nature, l’industria digitale, con la sua crescente impronta di carbonio globale, proietta un aumento significativo nel suo contributo ai gas serra, passando dal 1,6% del 2017 al 14% entro il 2040 (+775%). “Considerando questo scenario preoccupante, è imperativo adottare strategie di sostenibilità anche in questo ambito e implementare tecnologie che rispettino l’equilibrio tra progresso tecnologico e responsabilità ambientale. Costruire un futuro digitale sostenibile è un investimento nel bene comune e per le generazioni che verranno, e può rappresentare anche un vantaggio competitivo per le aziende attente a preservare il nostro Pianeta”, riflette Davide Bianchi, Senior Technical Lead di Mia-Platform, tech company italiana specializzata nella creazione e accelerazione di piattaforme e applicazioni digitali.

Seguendo le linee guida stabilite dalla Science Based Targets Initiative, per raggiungere l’obiettivo di “net zero” entro il 2050, il settore globale dell’ICT deve ridurre le proprie emissioni di gas serra del 45% entro il 2030. Certamente l’adozione rapida di nuove tecnologie, come big data, intelligenza artificiale e blockchain, potrebbe ritardare il progresso verso questi obiettivi. Inoltre, s’aggiunge a questo un ulteriore problema inerente lo smaltimento dei prodotti tecnologici, il che contribuisce ulteriormente alle emissioni di gas serra e comporta rischi ambientali a causa di sostanze pericolose come il mercurio, il piombo e il cadmio, che possono contaminare l’aria e il suolo, senza contare i processi di estrazione mineraria di questi materiali che contribuiscono alla deforestazione e quindi distruzione dell’habitat. Si pensi che la produzione globale di rifiuti elettronici è stata di 53,6 milioni di tonnellate nel 2019 e si prevede che entro il 2030 raggiungerà i 74,7 milioni di tonnellate, come riporta Ernst & Young. “Le aziende che vogliono costruire un futuro sostenibile per le generazioni che verranno, devono valutare l’integrazione di soluzioni di Green IT all’interno della propria strategia di trasformazione sostenibile. – prosegue Bianchi – Tuttavia, è essenziale che queste, nella scelta di tecnologie adeguate, valutino attentamente l’impatto ambientale potenziale derivante dall’implementazione su larga scala di tali soluzioni”. La tecnologia digitale può svolgere un ruolo chiave nel guidare cambiamenti operativi per raggiungere gli obiettivi ESG: secondo il report Smarter2030 realizzato da Accenture Strategy per la Global e-Sustainability Initiative, il settore ICT ha infatti il potenziale di ridurre le emissioni globali di carbonio del 20%, mantenendo le emissioni ai livelli del 2015.

Ma allora quali sono le strategie che potrebbero essere adottate per rendere più sostenibile l’industria secondo gli esperti del settore IT di Mia-Platform?

L’approccio open source favorisce la collaborazione e la condivisione del codice, facilitando lo sviluppo di software più performanti e ottimizzati. Piattaforme come GitHub ospitano progetti in cui gli sviluppatori possono contribuire alla creazione di software open source, quindi accessibili a tutti. Questo modello permette di migliorare la sostenibilità del software: un esempio è kube-green, lo strumento ideato da Davide Bianchi e supportato da Mia-Platform, in grado di ridurre del 30% le emissioni di CO2 delle infrastrutture IT inutilizzate che consumano elettricità al di fuori dell’orario lavorativo, offrendo la possibilità di personalizzare il momento in cui spegnere e riattivare i propri servizi/server, ottimizzando così anche i costi.

L’architettura a microservizi è un approccio di sviluppo che consente di segmentare le applicazioni aziendali in servizi modulari indipendenti, ognuno programmabile in diversi linguaggi software. Questa metodologia consente di scalare un singolo microservizio in caso di necessità, senza coinvolgere l’intera infrastruttura. Inoltre, offre la flessibilità di scegliere i linguaggi di programmazione più efficienti e di implementare codici e algoritmi altamente performanti in modo più flessibile: ciascun microservizio può essere così gestito in modo indipendente, semplificando il ridimensionamento automatico in base alle necessità.

Il Green Software è un approccio che incentiva lo sviluppo di software progettati per massimizzare l’efficienza energetica, riducendo al minimo le emissioni di anidride carbonica. Si basa su principi chiave, come l’efficienza energetica (riduzione del consumo di elettricità), l’ottimizzazione dell’hardware (minimizzazione delle emissioni di anidride carbonica) e la consapevolezza delle emissioni di carbonio (preferenza per fonti energetiche rinnovabili). Questo approccio ha ispirato la creazione dell’associazione Green Software Foundation, che ha proprio l’obiettivo di incoraggiare l’industria del software ad adottare principi di Green Software nello sviluppo.

La collaborazione con fornitori che condividono ambizioni green permette di raggiungere obiettivi aziendali orientati ad un futuro più sostenibile. Da un lato, si ha la possibilità di prediligere fornitori Cloud che privilegiano la sostenibilità dei data center che utilizzano energia green, come ad esempio Google Cloud, che offre strumenti come Customer Carbon Footprint e Cloud Region Picker per prevedere e selezionare opzioni ambientalmente responsabili. Dall’altro lato, è possibile avviare collaborazioni con aziende o associazioni che si occupano di prolungare l’utilizzo o smaltire in modo corretto i prodotti tecnologici a fine vita. Un esempio è l’associazione Pelligra, con cui collabora anche Mia-Platform, che si occupa di rigenerare PC usati e donarli a scuole, associazioni e case famiglia.