La sfida della Previdenza Complementare. Intervista all’economista Alessia Potecchi

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In Italia, per accesso alla previdenza complementare si intende la possibilità per i lavoratori di aderire a forme pensionistiche aggiuntive rispetto alla previdenza obbligatoria (INPS o altre casse previdenziali). La previdenza complementare è un sistema di risparmio volontario che ha lo scopo di integrare la pensione pubblica, permettendo così ai lavoratori di mantenere un tenore di vita adeguato una volta raggiunta l’età pensionabile.

Da un punto di vita teorico, la previdenza complementare può essere realizzata attraverso due principali tipi di fondi. Fondi Pensione Chiusi o Negoziali istituiti attraverso contratti collettivi di lavoro, accordi tra datori di lavoro e rappresentanze sindacali. Fondi Pensione Aperti gestiti da banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio (SGR) e possono essere sottoscritti da chiunque, indipendentemente dalla categoria lavorativa.

I PIP (Piani Individuali Pensionistici) sono forme pensionistiche individuali, solitamente offerte dalle compagnie di assicurazione, che consentono a chiunque di accantonare risparmi aggiuntivi per la pensione. I contributi versati alla previdenza complementare godono di vantaggi fiscali, come la deducibilità dal reddito complessivo entro certi limiti.

Intervista ad Alessia Potecchi

Possiamo affermare che la previdenza complementare rappresenti oggi uno strumento importante, anche se il sindacato in passato ha assunto posizioni critiche?

“L’importanza sempre più urgente oggi dei Fondi Pensioni è una realtà, il sindacato su questo è arrivato in ritardo perché da sempre si è battuto per avere una Previdenza pubblica. Le prime pensioni integrative le abbiamo avute negli anni 50’ proprio nelle fabbriche: è stato un percorso difficile, tortuoso. Le cose sono poi maturate negli anni 80’ con la contingenza della Scala Mobile, il cosiddetto Decreto di San Valentino avvenuto dopo un negoziato lungo e tortuoso che ha determinato senza dubbio una profonda divisione tra le Confederazioni. E’ così che è venuta a mancare quella forza dell’unità sindacale che era nata con le lotte dell’Autunno Caldo, dalla Federazioni Lavoratori Metalmeccanici alla Federazione unitaria CGIL, CISL, UIL. Anche se dopo questo strappo i sindacati ritrovarono comunque le ragioni dell’unità d’azione nelle cose da fare e negli obiettivi, da San Valentino in poi le Confederazioni cominciarono a giocare un ruolo prevalentemente difensivo e non furono più in grado di elaborare proposte concrete: dopo San Valentino verranno firmati altri accordi ma si tratterà sempre di intese in segno difensivo.

E proprio in quel periodo si cominciò a ragionare di previdenza integrativa in maniera concreta e prima di tutto alcune categorie di lavoratori come quella degli edili. Si sono dovute abbattere delle resistenze di carattere ideologico forte perché si è sempre pensato che è lo Stato e solo lo Stato che deve provvedere su questo tema”.

A che cosa si può attribuire questa evoluzione?

“I mutamenti della società, ma anche del mondo del lavoro, hanno spinto in questa direzione, perché si è sentita la necessità di trovare uno strumento di integrazione della pensione pubblica, per integrare il gap pensionistico rispetto all’ultimo reddito percepito e quindi migliorare nel complesso le prospettive future. Oltre al fatto che questo strumento presenta dei vantaggi economici. Un primo vantaggio riguarda la deducibilità dei contributi versati dal reddito dichiarato, che portano ad una riduzione del reddito imponibile e quindi a un risparmio sull’IRPEF. L’importo massimo che si può dedurre è di 5.164,27 euro, una tassazione contenuta sui rendimenti perché versare soldi su un fondo pensione equivale a fare un investimento sui mercati finanziari generando rendimenti che sono imponibili, vale a dire che sono importi sui quali pagheremo delle tasse. Solitamente quando si sottoscrive un fondo pensione la tassazione sulla rendita ammonta al 20%, mentre sulla quota che deriva dal possesso di titoli di Stato la tassazione scende al 12,5%. Si tratta quindi di un trattamento fiscale più basso rispetto a quello applicato ad altri strumenti di investimento che in genere sono soggetti ad un’aliquota del 26%: una differenza che, sul lungo termine, può incidere positivamente sulle performance del fondo”.

Nel dettaglio, quali sono i vantaggi dal punto di vista della tassazione?

“Si tratta di una tassazione migliore rispetto al TFR: quando arriverà il momento di riscuoterlo, il lavoratore dovrà pagare una tassazione piuttosto alta perché verrà liquidato in regime ordinario e, facendo parte del reddito, seguirà le aliquote IRPEF, i cui scaglioni partono da un minimo del 23% ad un massimo del 43%. Versare il TFR in un fondo pensione, invece, significa fare una scelta più efficiente perché permette di ridurre la tassazione ottenendo un bonus fiscale fino al 34%, immaginando di poter usufruire di tutte le agevolazioni disponibili.

Quindi possiamo dire che le tasse sul fondo pensione godono di una serie di agevolazioni che rendono questa scelta particolarmente interessante per diverse categorie di lavoratori, soprattutto per chi sa già che percepirà una pensione bassa e chi teme che la propria pensione faticherà a stare al passo con l’inflazione”.

Che cosa si può fare per migliorare il cammino tortuoso di questo strumento?

“Penso che oggi occorra comunicare meglio su queste questioni, creare maggiore sinergia e sensibilità, fare passare il messaggio che i giovani ma anche le donne sono l’anello debole della catena previdenziale e che bisogna garantire loro un futuro economico adeguato che spesso non riescono ad avere. Comunicare bene che la questione della previdenza non interessa solo chi è ormai vicino all’uscita dal lavoro ma soprattutto i più giovani e i professionisti che hanno appena iniziato la loro carriera. I giovani non sono informati e conoscono poco la Previdenza perché la vivono come una dimensione lontana che non appartiene loro. E l’altro aspetto che io penso si possa prendere in considerazione per un miglioramento del sistema è quello di avere condizioni fiscali ancora più favorevoli e convenienti: penso che su questo dobbiamo concentrarci e si possa lavorare in sinergia andando ad ottenere dei risultati che favorirebbero maggiormente le adesioni con una convenienza di carattere generale. Le risorse ci sono, pensiamo solo all’evasione fiscale 87 miliardi l’anno contro la quale questo governo non sta facendo assolutamente nulla, anzi predilige i condoni (siamo già a quota 14) quindi le risorse ci sono. basta volerlo”.

Ha qualche suggerimento in merito?

“Noi oggi dobbiamo governare da protagonisti i cambiamenti che non sono più rimandabili e su cui occorre intervenire preparati per accompagnare al meglio aziende, persone, tecnologie, mondo del lavoro. I mutamenti vanno gestiti approfondendo le questioni e mettendo al centro le persone con i loro bisogni in particolar modo quelle più fragili che sono più esposte come le donne e i giovani. Bisogna fare le Riforme in primis quella fiscale e previdenziale di cui il paese ha bisogno per giocare anche un ruolo di primo piano nel contesto europeo. Occorre investire nella Previdenza Complementare, spingere in questa direzione con programmi e idee concrete per supportare proprio i giovani nel loro percorso lavorativo fatto spesso di stage, di interruzioni, di lavori sottopagati che portano ad avere un futuro economico non adeguato. Non tiriamoci indietro perché il futuro che ci attende è lo sfondo su cui noi saremo impegnati con gli strumenti  e le conoscenze che oggi abbiamo per poter operare e mettere al centro l’individuo come persona unica, tornare ad un’economia e a una finanza delle persone. Quando pensiamo al risparmio, al fisco, alla previdenza, alla transizione ecologica e digitale dobbiamo farlo pensando realisticamente alle persone perché questi cambiamenti hanno in primis una forte valenza sociale.”