Dal 2026 la Digital Services Tax (DST) espanderà la base imponibile. Le modifiche della Web Tax

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In Italia, a partire dal 2026, la Digital Services Tax (DST), comunemente nota come Web Tax, subirà modifiche che includono l’eliminazione delle soglie di ricavi globali e nazionali, attualmente rispettivamente di 750 milioni di euro e 5,5 milioni di euro, per espandere la base imponibile includere tutte le imprese che forniscono servizi digitali in Italia, senza distinzione di fatturato.. La tassa continuerà ad applicarsi con un’aliquota del 3% sui ricavi derivanti da servizi digitali come pubblicità online, intermediazione digitale e trasmissione di dati degli utenti, basandosi sul luogo d’uso dei servizi. La riforma è pensata per incrementare le entrate e rispondere alla lentezza dell’iniziativa fiscale globale dell’OCSE​.

Questa modifica è particolarmente rilevante se si considera che le PMI rappresentano una fetta significativa dell’economia italiana. Paradossalmente, l’imposta è calcolata sul fatturato e non sugli utili: molte di queste aziende potrebbero trovarsi in difficoltà, specialmente quelle in fase di avvio o sviluppo, che spesso non generano profitti sufficienti in relazione ai loro ricavi. La previsione di un gettito annuale di circa 700 milioni di euro, anticipata dal Ministero del Tesoro, si è dimostrata ottimistica; nel 2023, il gettito effettivo ha raggiunto solo i 390 milioni di euro, sollevando interrogativi sulla sostenibilità di questa imposizione fiscale.

Questo contesto di incertezza potrebbe indurre alcune aziende a prendere in considerazione l’opzione di trasferire le loro attività all’estero, cercando giurisdizioni con regime fiscale più favorevole. In questo modo, l’Italia potrebbe vedere una diminuzione degli investimenti in innovazione e tecnologia.
Inoltre, l’ampliamento dell’ambito di applicazione della Web Tax potrebbe avere effetti distorsivi sulla competitività delle PMI rispetto ai concorrenti internazionali. Inoltre, se le medio-piccole aziende italiane decidessero di spostare la loro sede all’estero per beneficiare di un regime fiscale più favorevole, si rischia di indebolire ulteriormente l’ecosistema imprenditoriale italiano. La possibilità di una “fuga” all’estero, quindi, solleva interrogativi sulla direzione futura del mercato italiano, un aspetto che il governo dovrà considerare con attenzione.