Faro su economia UK e USA
Il Regno Unito sta affrontando crescenti tensioni economiche e di mercato, con il rialzo dei tassi d’interesse, l’indebolimento della sterlina e un calo della fiducia legato al bilancio del Cancelliere Rachel Reeves. Sebbene meno drammatico del breve governo di Liz Truss, il quadro resta critico: l’aumento dei rendimenti dei Gilt riflette i timori per il deficit crescente e alimenta le preoccupazioni per i consumatori e le aziende, mentre le aspettative inflazionistiche restano elevate. La svalutazione della sterlina riflette il timore che il governo non riesca a controllare l’aumento del debito, aggravato da interessi più elevati e dal margine fiscale limitato. Le difficoltà si riflettono anche nel settore azionario, dove i retailer britannici, pur avendo registrato buone vendite natalizie, stanno soffrendo. Le azioni di Tesco e Marks & Spencer sono calate a causa dell’aumento delle tasse sui salari e delle incertezze economiche, mentre la pressione inflattiva pesa sui consumatori.
Le tensioni sui Gilt stanno inoltre influenzando i titoli governativi della zona euro, indeboliti dal contesto globale di rialzo dei tassi. La Bank of England deve bilanciare inflazione e crescita, ma il governo potrebbe essere costretto a intervenire con misure fiscali restrittive, aumentando i rischi per la fiducia dei mercati. La volatilità resta elevata, con segnali di stabilità ancora lontani.
Negli USA a dicembre, il mercato del lavoro ha confermato la sua forza con un incremento di 256.000 dei posti di lavoro, il più alto da marzo, e un calo inaspettato del tasso di disoccupazione al 4,1%. I nuovi occupati non agricoli hanno superato le previsioni, trainati da settori come sanità, commercio al dettaglio e settore ricettivo, mentre la manifattura ha mostrato segnali di debolezza. L’incremento dei salari annui del 3,9% mostra un ritmo di crescita più moderato rispetto ai mesi precedenti, offrendo un margine di sollievo alla Fed. Il dato dei JOLTS di pochi giorni prima aveva già segnalato un mercato del lavoro solido, con un aumento delle offerte di lavoro. Contestualmente, l’ISM dei servizi ha evidenziato un’accelerazione dell’attività economica (54,1) e un preoccupante aumento della componente dei prezzi pagati (64,4), segnale di persistenti pressioni inflazionistiche. Alla notizia i rendimenti dei titoli di Stato sono saliti, riflettendo aspettative di una Fed più cauta. Gli operatori ora prevedono uno stop e un solo taglio dei tassi nella seconda parte dell’anno.
Nel 2024, il mercato obbligazionario americano ha continuato a registrare fasi di elevata volatilità, principalmente a causa dei cambiamenti nelle aspettative sui tagli dei tassi da parte della Banca Centrale. Da un lato, questa volatilità può offrire opportunità di investimento e trading; dall’altro, i continui mutamenti di direzione generano eccessi e tensioni. L’essere più vicini al tasso neutrale rispetto a quanto previsto 12 mesi fa ha reso l’obbligazionario più vulnerabile.
Con tassi di interesse più elevati e il rendimento del decennale sopra al 4,7%, anche l’azionario potrebbe risultare vulnerabile. Il premio al rischio, infatti, è sui minimi, praticamente azzerato. Nel breve termine potrebbero verificarsi fasi correttive. La correlazione tra l’azionario USA e i Treasury a lunga scadenza è tornata ad essere positiva e su livelli elevati. L’ottimo dato sull’occupazione di venerdì ha confermato questa tendenza. Tuttavia, nel medio periodo, una crescita economica solida, aspettative di utili in aumento sia per quest’anno che per il 2026 e temi strutturali come intelligenza artificiale, robotica e sicurezza informatica, continueranno a sostenere il mercato nel medio termine.
Il dollaro continua a beneficiare di una forza strutturale più volte sottolineata in passato. Tuttavia, è cruciale monitorarne i rischi di indebolimento nel lungo termine, legati al crescente indebitamento netto degli Stati Uniti con il resto del mondo. Nel terzo trimestre, la posizione di investimento internazionale netta (NIIP), ovvero la differenza tra le attività detenute all’estero dagli americani e quelle statunitensi detenute dagli stranieri, è scesa a -100% del PIL. Questo riflette l’aumento degli asset statunitensi posseduti da stranieri. Sebbene il dato non abbia un impatto immediato, potrebbe rappresentare un ostacolo per il dollaro nel lungo periodo.
Inoltre, il disavanzo delle partite correnti, ampliatosi al -3,6%, è ulteriormente aggravato dal reddito primario netto, negativo per la prima volta in decenni. Sommando a questo squilibrio il crescente disavanzo di bilancio, si ottiene il cosiddetto “deficit gemello,” attualmente il più elevato tra le economie sviluppate ed emergenti, escluso il Brasile. Sebbene il favore del dollaro come valuta globale rimanga significativo, potrebbe indurre gli investitori a richiedere un premio extra, riflettendo il rischio di un debito in espansione. Allo stesso tempo, un dollaro più debole potrebbe contribuire a riequilibrare il NIIP e migliorare la competitività degli Stati Uniti nel lungo termine.
Nel breve periodo, il dollaro risulta in una condizione di ipercomprato e, storicamente, tende a rafforzarsi tra le elezioni e l’insediamento presidenziale. Non è da escludere quindi una fase correttiva. Teniamo conto però che le politiche previste dall’amministrazione Trump dovrebbero sostenere il biglietto verde almeno nella fase iniziale. Per questo motivo, confermiamo il nostro sovrappeso sulla valuta statunitense.