La cultura dell’empatia ha rappresentato un ingrediente essenziale nella gestione delle comunità online. Non pensa così Elon Musk

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Filosofia e costruzione del business. Modelli di business che diventano modelli di società civile.
Ringraziamo per averci segnalato questo interessante punto di vista di Stefano Micelli, che ha aperto un dibattito di pensiero, disegna scenari e parla dell’orientamento di società possibili, soluzioni e pericoli all’orizzonte.

In una conversazione con Joe Rogan, durante uno dei podcast più seguiti negli Stati Uniti, Elon Musk ha detto che l’empatia è il male fondamentale della società occidentale. L’empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri, per attivare comportamenti socialmente responsabili, degradata a “disagio”. Nella lotta senza quartiere fra partigiani della cultura WOKE e paladini MAGA si ascolta anche questo. L’affermazione mi lascia attonito non solo dal punto di vista culturale, ma anche rispetto a quello che insegno ai miei studenti.

Nel corso degli ultimi vent’anni, l’empatia è stata l’architrave delle migliori pratiche di management dell’innovazione. Il design thinking, kit standard per le multinazionali che vogliono guardare in modo sensato ai propri consumatori, ha costruito il suo successo sul modulo “empathy”. La lezione di management che ci è arrivata dagli Stati Uniti è stata illuminante: il cliente finale non è un semplice utilizzatore finale o, peggio ancora, un “target” da bersagliare con messaggi pubblicitari. E’, prima di tutto, un interlocutore con cui dialogare. Ha un vissuto, una propria esperienza. Se riusciamo a parlarci (è qui che serve l’empatia) è molto probabile che riusciremo a produrre qualcosa di davvero innovativo.

La cultura dell’empatia ha rappresentato un ingrediente essenziale nella gestione delle comunità online. Se oggi il termine “community” è diventato di uso comune nel linguaggio del marketing è perché ci siamo abituati all’idea che i clienti delle imprese siano soggetti con cui costruire una conversazione. Persone da prendere in considerazione, capaci di dialogare fra loro e di esprimere un’intelligenza collettiva che promuove cultura e valore economico. E, non ultimo, coesione sociale.

Il fastidio della cultura high tech per l’empatia non è una novità. Youval Harari ci ha spiegato in un capitolo memorabile di Homo Deus che con pochi clic un algoritmo può conoscere i nostri gusti più o meno con la stessa precisione di un nostro buon amico. Con un centinaio di like l’algoritmo ci conosce quanto una moglie conosce un marito o viceversa. Se è così semplice conoscere gli umani perché mai disturbarsi a fare interviste o spendere tempo per complicate analisi sul campo? Più semplice consegnare le nostre tantissime tracce digitali a un software in grado di interpretare il nostro comportamento. La fiducia nel “datismo” ha solide fondamenta contabili.

Le affermazioni di Elon Musk vanno oltre. Molto oltre. L’empatia non è solo una voce di costo. E’ proprio un male. Perché ci distrae e ci limita nel prendere decisioni che vanno nella giusta direzione per il futuro di una nazione (come nel caso della cancellazione del welfare americano). Una parte importante della Silicon Valley ha in mente un’innovazione senza dialogo, un’economia senza società. Il contrario dell’umanesimo industriale che abbiamo immaginato per il nostro paese.