UBS WM – weekly comment Matteo Ramenghi: Sotto la radice quadrata

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Da una parte ci sono le dichiarazioni roboanti rilasciate dai politici sui due lati
dell’Atlantico, che creano incertezza e aspettative. Dall’altra, la diluizione dei
propositi nella realpolitik e nella fattibilità dei bilanci pubblici. Intanto l’inerzia
dell’economia è positiva per gli Stati Uniti, che crescono circa del 2%, ma non
per l’Europa, che si trova in stagnazione da due anni.

L’elevata incertezza riguardo i dazi porta le aziende a rimandare i piani di
investimento, un importante capitolo del PIL. Infatti, l’indice americano S&P
500 è in calo di oltre il 2% dall’inizio dell’anno e sta sottoperformando le
altre borse principali.

Mercoledì sera verranno annunciati nuovi dazi ma, già la scorsa settimana,
Donald Trump ha anticipato che per le auto importate negli Stati Uniti saranno
del 25%. Questo è anche il livello al quale ha fatto riferimento in precedenza
per Canada, Messico e Unione Europea.

Tuttavia, l’amministrazione americana sembra cercare compromessi. I dazi
implementati sinora nei confronti della Cina sono la metà di quanto
annunciato in campagna elettorale e quelli contro Messico e Canada sono
già stati congelati due volte.

Nei prossimi giorni verranno anche pubblicati molti dati economici: le
retribuzioni il 4 aprile potrebbero evidenziare l’impatto dei tagli annunciati
dal nuovo dipartimento DOGE, l’inflazione il 10 aprile potrebbe far presagire
le prossime mosse della Federal Reserve (Fed) – secondo le nostre attese
dovrebbe tagliare i tassi alla riunione del 18 giugno.

Stretta tra la prospettiva di maggiori dazi da parte degli Stati Uniti, le relazioni
in bilico con Donald Trump, le difficili trattative per la fine della guerra in
Ucraina e una stagnazione economica che si trascina da due anni, l’Europa
ha annunciato alcune misure di rilancio che, per il momento, non sembrano
molto convincenti.

La presidente della Commissione europea, von der Leyen, ha descritto un
piano per la difesa da 800 miliardi di euro. La realtà è che vi è una parte
tangibile da 150 miliardi che consiste in prestiti agli Stati membri mentre il
resto, 650 miliardi, è frutto di un calcolo teorico sulla base di esclusioni del
deficit dai parametri della Commissione.

Il cambiamento di perimetro è formale, ma i governi devono confrontarsi sul
piano sostanziale con le agenzie di rating e i mercati (i bond vigilantes, per                                                                                                        usare un termine che risale agli anni ’80) e creare ulteriore debito per i singoli
Paesi limita la portata del piano. Inoltre, l’impatto di queste spese aggiuntive
sul PIL potrebbe essere modesto, perché buona parte della spesa per la difesa
europea finisce in importazioni.

Di maggior importanza sono gli annunci tedeschi sulla creazione di un fondo
«fuori bilancio» da 500 miliardi di euro per realizzare infrastrutture e di un
maggior deficit per la difesa e a livello dei governi locali. Ma, anche in questo
caso, ci sono diversi elementi meno entusiasmanti: il cambio costituzionale è
stato approvato dal parlamento in uscita per aggirare la minoranza di blocco
emersa in quello eletto il 23 febbraio, non è accompagnato da riforme che
possano rilanciare la competitività tedesca e, probabilmente, ha come effetto
collaterale un appetito ancora più modesto per iniziative a livello europeo.

Secondo la Banca centrale europea (BCE), dazi statunitensi al 25%
(probabilmente saranno molti inferiori) potrebbero costare tra lo 0,3% e lo
0,5% del PIL. Questa riduzione potrebbe essere parzialmente compensata
dalla fine della guerra in Ucraina, grazie ai minori costi del gas e alla
ricostruzione. Inoltre, il piano tedesco dovrebbe avere qualche riflesso positivo
per tutta la zona euro.

Nel complesso le prospettive sembrano quindi stabili e, dopo un rialzo a
doppia cifra nel primo trimestre, l’indice azionario della zona euro (MSCI
EMU) scambia ormai su un multiplo prezzo/utili del 7% al di sopra della
sua media storica. Il Bund tedesco decennale ha subito un’impennata dei
rendimenti di 0,4 punti percentuali per via del piano d’indebitamento, mentre
l’euro si è rafforzato contro il dollaro.

Intanto, in Cina sono stati raggiunti sviluppi entusiasmanti sul fronte
tecnologico: il rilascio di modelli d’intelligenza artificiale a basso costo e ad
alte prestazioni, tra cui DeepSeek R1, Qwen e altri; e nell’automotive BYD ha
annunciato pochi giorni fa nuovi progressi nella ricarica rapida delle batterie
e nella guida autonoma. L’indice MSCI China è salito di oltre il 10% dall’inizio
dell’anno e la tecnologia cinese è in rialzo di circa il 30% dall’inizio dell’anno.

In questo quadro, la volatilità è altalenante e abbiamo assistito a una
rotazione tra aree geografiche e settori. Dopo la correzione della borsa
americana, ci aspettiamo che proprio lei offra il maggior potenziale. A
nostro avviso, questa fase di volatilità nel mercato statunitense rappresenta
un’opportunità per arrotondare le posizioni sui titoli esposti all’intelligenza
artificiale e sul tema dell’energia elettrica.

Invece, dopo il recente rally, consigliamo un approccio più selettivo in Europa
e Asia, con un focus sulle aziende che potranno beneficiare della maggior
spesa pubblica tedesca e degli investimenti sui microchip per l’intelligenza
artificiale a Taiwan. Le società a piccola e media capitalizzazione europee
restano interessanti per via delle valutazioni a forte sconto, il più ampio da
20 anni.

L’obbligazionario ha registrato andamenti contrastanti sui due lati
dell’Atlantico, perché il piano tedesco ha portato a una correzione in Europa.

Ci aspettiamo che i tassi continuino a scendere e rimaniamo dell’idea di
bloccare rendimenti duraturi in obbligazioni di buona qualità.