Vesuvio, un rischio da non ignorare. Un’eruzione avrebbe effetti catastrofici

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Vesuvio, un rischio da non ignorare

Il piano di evacuazione resta sulla carta mentre gli esperti lanciano l’allarme: “Un’eruzione avrebbe effetti catastrofici”

Sono oltre 700.000 le persone che vivono nella cosiddetta “zona rossa” attorno al Vesuvio, l’area che verrebbe evacuata in caso di eruzione. Non si tratta di un’eventualità remota: secondo l’Osservatorio Vesuviano (INGV), il vulcano è in uno stato di quiescenza attiva e i segnali di risveglio, sebbene ancora sotto controllo, stanno tornando al centro dell’attenzione scientifica e istituzionale.

Una bomba geologica nel cuore del Mediterraneo

Il Vesuvio è uno dei vulcani più pericolosi al mondo non tanto per la frequenza delle eruzioni, quanto per l’altissima densità abitativa del territorio circostante. A differenza di altri vulcani attivi, come l’Etna o Stromboli, la zona vesuviana include interi centri urbani, aree industriali e snodi infrastrutturali cruciali. Secondo un recente studio dell’Università di Pisa, se il Vesuvio dovesse eruttare con la stessa intensità dell’evento del 1631, le conseguenze sarebbero devastanti per Napoli e per il sistema economico nazionale.

I segnali da tenere d’occhio

A preoccupare gli scienziati sono l’aumento dell’attività sismica nell’area, il sollevamento del suolo e la variazione nella composizione dei gas emessi. L’INGV, nel suo ultimo bollettino trimestrale (marzo 2025), ha classificato lo stato del vulcano come “ordinario ma sotto osservazione”, confermando che non ci sono segnali di un’eruzione imminente, ma che l’attenzione deve restare altissima. A questo si aggiunge la situazione di altri vulcani campani, come i Campi Flegrei, il cui aumento di pressione interna sta già provocando scosse giornaliere e fenomeni di bradisismo che impattano direttamente sulla sicurezza dell’area metropolitana.

“Il problema non è tanto prevedere l’eruzione quanto farci trovare pronti”, ha dichiarato Francesca Bianco, direttrice del Dipartimento Vulcani dell’INGV, in un’intervista a RaiNews.

Il piano di evacuazione e le sue lacune

Il piano nazionale di emergenza, aggiornato nel 2023 dal Dipartimento della Protezione Civile, prevede l’evacuazione della “zona rossa” entro 72 ore dall’allarme. Ma secondo un’inchiesta de Il Fatto Quotidiano, il piano sarebbe ancora fortemente teorico: mancano vie di fuga adeguate, i mezzi pubblici per l’esodo non sono sufficienti e la popolazione non è stata adeguatamente formata sulle procedure.

Un’indagine ISTAT del 2024 rivela che oltre il 60% degli abitanti della zona rossa non sa dove si troverebbe il proprio punto di raccolta in caso di emergenza, e meno del 20% ha partecipato a esercitazioni.

I rischi economici e culturali

Un’eruzione non avrebbe solo conseguenze umanitarie, ma impatterebbe pesantemente sull’economia locale e nazionale. Il Vesuvio si trova in un’area ricca di coltivazioni pregiate (come il pomodoro San Marzano), siti archeologici di valore mondiale (Pompei, Ercolano, ecc.), e un tessuto produttivo fragile ma strategico.

Secondo il Rapporto Cerved 2024 sulla resilienza territoriale, l’area vesuviana è tra le più esposte in Italia a rischi naturali combinati (sismico, vulcanico, idrogeologico) con una bassa capacità di reazione sistemica.

Serve un cambio di rotta

Gli esperti chiedono un’accelerazione sulla messa in sicurezza del territorio e una revisione concreta dei piani di evacuazione, integrando tecnologie digitali, app per l’allerta precoce e una comunicazione capillare e trasparente con la cittadinanza. Le istituzioni locali, da parte loro, faticano a ottenere i fondi necessari: secondo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), sono destinati alla mitigazione del rischio vulcanico solo 250 milioni di euro entro il 2026, cifra giudicata “non sufficiente” da molte amministrazioni.

Nel frattempo, la popolazione continua a vivere all’ombra del Vesuvio, con la speranza che la montagna resti addormentata ancora a lungo. Ma come insegnano la storia e la geologia, non è una questione di “se”, ma di “quando”.