Pensioni: Italia ultima per sostenibilità

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Secondo l’indagine Mercer 2015, il nostro sistema previdenziale è al 20° posto tra i principali paesi sviluppati

Il sistema previdenziale italiano è tra i peggiori del mondo per quanto riguarda la sostenibilità nel lungo periodo. La bocciatura arriva dall’indagine annuale condotta dalla società di consulenza Mercer e dall’Australian Centre for Financial Studies, giunta alla settima edizione.

Tra i 25 sistemi pensionistici analizzati, quello italiano si piazza al 20° posto nella classifica generale (perdendo una posizione rispetto all’anno scorso), e all’ultimo per quanto riguarda la sostenibilità.

L’indagine non si limita a valutare il sistema pensionistico pubblico, ma considera anche le forme previdenziali individuali e collettive e il risparmio delle famiglie.

Sulla base di oltre 50 indicatori, viene elaborato il Mmgpi (Mercer Melbourne Global Pension Index), il cui valore complessivo risulta dalla somma di tre diversi punteggi, per altrettante macro aree. La più rilevante (che pesa per il 40% sull’indice complessivo), è l’adeguatezza, che riguarda il livello delle prestazioni erogate per la media dei lavoratori. La seconda area, la sostenibilità (che vale il 35% dell’indice), considera parametri relativi tra l’altro alla percentuale di adesioni ai fondi pensione, e alcuni dati demografici e macro economici (contribuzione, debito pubblico, ecc.). La macro-area integrità (25% dell’indice), considera elementi di normativa e governance del rischio pensionistico, ma anche il livello di fiducia che i cittadini di ogni paese hanno nel loro sistema.

Il punteggio complessivo dell’Italia si attesta a 50,9, che la colloca subito dopo il Messico. E mentra la Danimarca svetta per il quarto anno consecutivo in testa alla classifica, peggio dell’Italia fanno solo Indonesia, Cina, Giappone, Corea del Sud e India.

A pesare è il 12,1 realizzato sul fronte della sostenibilità, contro una media di 48,2 e gli 84,7 punti della Danimarca.

Secondo gli autori dell’indagine, la bocciatura, su questo fronte, è dovuta in primo luogo alle scarse adesioni ai piani pensionistici privati: secondo i dati dell’autorità di vigilanza Covip, queste riguardano solo il 25,6% della popolazione in età lavorativa, con minimi del 18% nel Mezzogiorno e del 16% per i lavoratori al di sotto dei 35 anni.

Da qui deriva il basso livello di investimenti nelle pensioni private, pari solo all’ 8,1% del Pil, un dato che, nonostante un lieve incremento, resta molto inferiore a quello degli altri paesi più industrializzati: nei Paesi Bassi il rapporto è del 160,6%, e in Danimarca sfiora il 169%.

Il contesto demografico, aggiunge il report, è “caratterizzato dalla minima partecipazione alla forza lavoro dei lavoratori più anziani (ovvero tra i 55 e i 64 anni), da un tasso di anzianità della popolazione pari al 56% e da un tasso di fertilità proiettato inferiore a 1,5 figli per donna”.

Il punteggio sul fronte della sostenibilità è così basso che non sono sufficienti a riscattarlo i valori sopra la media ottenuti dall’Italia nell’area dell’adeguatezza, nella quale pesa positivamente il livello medio delle pensioni erogate, e in quella dell’integrità dove si registra tra l’altro un miglioramento per quanto riguarda la disponibilità di informazioni fornite agli aderenti e gli standard obbligatori di governance richiesti agli enti previdenziali.

“Anche se il sistema pensionistico italiano ha un forte radicamento sul primo pilastro, ovvero la previdenza pubblica obbligatoria, è giunto il momento che il Paese consideri il contributo di stabilità che il secondo e il terzo pilastro – ovvero la previdenza complementare collettiva e quella individuale – possono portare”, commenta Marco Valerio Morelli, amministratore delegato di Mercer Italia.

Secondo Mercer, per migliorare la sostenibilità di lungo periodo del sistema previdenziale italiano sarebbe necessario: incrementare la copertura del sistema pensionistico privato, sia in termini di copertura della popolazione sia di asset investiti; ridurre l’accesso a benefit di natura previdenziale prima del pensionamento; aumentare la partecipazione nel mondo del lavoro di persone vicine all’età pensionabile; e ridurre l’impatto del debito pubblico sul sistema previdenziale.

“Aumentare la partecipazione alla forza lavoro dei lavoratori più anziani, in Italia, sarebbe un bene per l’economia e gli individui”, sottolinea Morelli. “Siamo infatti tra i Paesi del campione in cui questo tasso è minore, e al tempo stesso uno di quelli con la più alta aspettativa di vita. La sostenibilità di un sistema previdenziale non può inoltre prescindere dal livello di asset che lo finanziano, affinché le pensioni non pesino come sforzo finanziario sulle generazioni più giovani: è la prospettiva multi-pilastro che garantisce la solidità dell’equilibrio del sistema”.