Cambiamenti climatici: per i paesi poveri un conto da 790 miliardi di dollari

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E’ la stima calcolata nell’ultimo rapporto di Oxfam: un aumento delle temperature di 3° centigradi peserebbe soprattutto sulle economie in via di sviluppo. Le proposte per scongiurarlo

790 miliardi di dollari: se non verranno mantenuti gli impegni sul taglio delle emissioni in atmosfera, è questo il costo che i paesi in via di sviluppo dovranno sostenere per adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici di qui al 2050. Una cifra a cui si aggiungono le perdite che le economie dei paesi poveri accumuleranno ogni anno, stimate in ulteriori 1.700 miliardi di dollari.

L’allarme arriva dal nuovo rapporto di Oxfam “Le chiavi di svolta per l’accordo sul clima di Parigi”, pubblicato alla vigilia della Cop21, la conferenza dell’Onu sul clima, e della marcia globale per il clima in programma a Roma e in molte capitali mondiali domenica prossima.

Secondo il rapporto, i costi a carico dei paesi più poveri sono la somma dei 520 miliardi già preventivati in caso di un aumento delle temperature medie della terra di 2° centigradi (l’obiettivo al quale tende la Cop21), e di ulteriori 270 miliardi di dollari se l’aumento fosse di 3°.

“I leader mondiali devono cambiare passo”, sottolinea la direttrice delle campagne di Oxfam Italia, Elisa Bacciotti. “Sono necessari ulteriori tagli alle emissioni e un incremento dei fondi per il clima, per far sì che le popolazioni più esposte agli effetti dei cambiamenti climatici, già colpite da alluvioni, siccità e fame, possano adattarsi e sopravvivere alle trasformazioni che ci attendono”.

Se in questo momento suddividessimo tutti i finanziamenti pubblici per l’adattamento ai cambiamenti climatici tra gli 1,5 miliardi di piccoli produttori agricoli che vivono nei paesi in via di sviluppo, resterebbero a ciascuno appena 3 dollari all’anno per proteggersi da alluvioni, siccità cronica e altri fenomeni climatici estremi, afferma lo studio di Oxfam.

Gli impegni assunti da oltre 150 paesi per il taglio delle emissioni (i cosiddetti Indc, Intended nationally determined contributions, ovvero contributi promessi stabiliti a livello nazionale), saranno il punto centrale dell’accordo di Parigi, ma anche se questi obiettivi fossero raggiunti, è probabile che il mondo assisterà a un devastante aumento delle temperature di 3°C di qui al 2050. Per questo Oxfam, assieme a oltre 100 paesi in via di sviluppo, ha già chiesto da tempo di lavorare per evitare un aumento delle temperature che superi 1,5°C.

Attualmente, gli impegni finanziari sul clima per aiutare i paesi più poveri ad adattarsi e svilupparsi secondo modelli a basso impatto di carbonio arrivano soltanto fino al 2020. Se a Parigi si deciderà di mantenere l’impegno, siglato a Copenaghen sei anni fa, per lo stanziamento di 100 miliardi di dollari all’anno fino al 2020, sarà comunque necessario un incremento dei fondi. Secondo le stime di Oxfam, nel 2013-14 il finanziamento pubblico per il clima è stato in media di 20 miliardi di dollari: di questi soltanto 3-5 miliardi (meno della metà della cifra considerata necessaria da Oxfam) sono stati devoluti all’adattamento.

Il contesto internazionale, aggiunge l’Ong, è cambiato rispetto al fallimento dell’ultimo summit di Copenaghen. L’accordo sul cambiamento climatico fra Usa e Cina, la spettacolare crescita delle energie rinnovabili, gli interventi di figure di alto profilo, come Ban Ki-moon, Papa Francesco e dei più alti rappresentanti della comunità islamica, hanno impresso un nuovo corso al dibattito globale. In questa direzione, gli Indc sono stati molto importanti nel dar forma all’accordo, ma ciò è dovuto in gran parte agli impegni assunti dai paesi in via di sviluppo, inclusi India e Cina nella riduzione delle emissioni.

Il rapporto propone sette misure che il summit di Parigi potrebbe adottare per limitare l’impatto dei cambiamenti climatici sulle persone più povere del pianeta:

1) Affrontare la mancanza di finanziamenti sostenendo le capacità di adattamento dei paesi in via di sviluppo: almeno la metà dei finanziamenti pubblici devono andare a migliorare tale aspetto. Per raggiungere questo obiettivo è necessario fissare perciò uno stanziamento minimo di 35 miliardi di dollari entro il 2020 o 50 miliardi entro il 2025.

2) Oltre ai tradizionali finanziamenti dei paesi ricchi, è indispensabile incrementare i contributi provenienti da paesi come Russia, Corea del Nord, Messico, Arabia Saudita e Singapore.

3) Rivedere gli impegni dei governi incrementando i tagli complessivi alle emissioni dal 2020, prevedendo quindi un meccanismo di revisione ogni cinque anni.

4) Raggiungere un accordo su un obiettivo a lungo termine in cui i paesi ricchi assumano la guida per una graduale eliminazione dei combustibili fossili.
5) Migliorare la prevedibilità dei finanziamenti, in modo tale che i paesi in via di sviluppo possano perfezionare le proprie capacità di adattamento, sapendo quanti fondi spetteranno loro.

6) Annunciare nuove forme di finanziamento per il clima, come l’allocazione di parte del gettito della futura tassa europea sulle transazioni finanziarie al Fondo verde per il clima, ponendo così fine alla sottrazione di risorse di aiuto pubblico allo sviluppo destinate alla finanza climatica.

7) Predisporre fondi per le perdite e i danni causati dai cambiamenti climatici, che possano assicurare alle popolazioni più povere l’aiuto di cui hanno bisogno quando le misure preventive risultano inefficaci.