Cop21: la finanza fa i conti con l’accordo
Dopo la firma a Parigi si valutano gli impatti delle misure sui portafogli degli investitori
Mantenere il riscaldamento globale “ben al di sotto” dei due gradi centigradi, con un obiettivo a un grado e mezzo, rispetto ai livelli pre industriali; raggiungere la “carbon neutrality”, ovvero l’equilibrio tra emissioni e rimozioni di gas serra, nella seconda metà del secolo; finanziare i paesi in via di sviluppo con un fondo da 100 miliardi di dollari all’anno, di qui al 2020, alimentato dai paesi più industrializzati; monitorare costantemente i progressi e rivedere ogni cinque anni gli impegni presi dai singoli stati.
Sono questi i punti chiave dell’accordo siglato sabato sera a Parigi dai rappresentanti di 195 paesi, al termine della Cop21, la conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite.
I giudizi che ha raccolto sono i più diversi, dall’entusiasmo alla delusione. Ma c’è chi ha già cominciato a fare i conti. A cominciare dal mondo della finanza. Perché gli investitori hanno iniziato da tempo a valutare il cosiddetto “rischio carbonio” dei loro portafogli. E a concludere che, nella maggior parte dei casi, il gioco non vale la candela: troppo limitate le prospettive di guadagno degli investimenti nei settori più esposti (in primis le società del settore dei combustibili fossili) rispetto ai rischi rappresentati dai nuovi vincoli di legge, dall’impatto ambientale, o dai costi che una diversa fiscalità o il carbon pricing potrebbero comportare.
Subito dopo l’annuncio della firma di Parigi, uno dei commenti più completi è arrivato da Barclays. La banca inglese ha subito sottolineato come l’accordo (giudicato “un risultato forte”) aiuti a rafforzare i fondamentali di lungo termine dei settori a basse emissioni.
Secondo Barclays, sono tre gli aspetti che gli investitori devono considerare soprattutto.
In primo luogo, la politica sui temi climatici diventerà sempre più severa, grazie anche al fatto che i costi delle energie rinnovabili e delle altre tecnologie a emissioni basse o zero continueranno a diminuire. Il forte calo di quei costi negli ultimi sei anni (a partire cioè dalla conferenza sul clima di Copenhagen) è stato anzi, secondo la banca inglese, una delle cause che hanno consentito di raggiungere l’accordo di Parigi. Perché la riduzione dei costi delle energie “verdi” rende più facile per i governi adottare misure restrittive sulle emissioni.
Ed è per questo che la transizione verso un sistema energetico globale a basso contenuto di Co2, già avviata, subirà un’accelerazione.
La seconda novità importante è l’annuncio del Financial Stability Board, l’organismo internazionale creato dai paesi del G20 per migliorare la regolamentazione della finanza a livello globale, relativo alla creazione di una task force, presieduta dall’ex sindaco di New York Michael Bloomberg e dedicata alla rendicontazione finanziaria dei fattori climatici (la Task Force for Climate-Related Financial Disclosure – Tcfd).
Scopo della task force è stabilire gli standard con cui le imprese dovranno comunicare e indicare nei loro bilanci dati quali le possibili perdite legate al cambiamento climatico. Le società dovranno cioè fornire agli azionisti e agli altri investitori le informazioni necessarie perché questi dispongano dei loro capitali in maniera consapevole, anche per quanto riguarda i rischi climatici delle imprese.
Questo, afferma Barclays, porterà a una maggiore pressione sulle società perché adottino misure per il monitoraggio e la rendicontazione dei loro rischi legati al carbonio, e a una maggiore consapevolezza e attenzione, da parte degli investitori, per la diversa intensità di carbonio che caratterizza le singole società.
Infine, continuerà ad aumentare la propensione alla decarbonizzazione dei portafogli, in particolare da parte degli investitori istituzionali e dei fondi sovrani. E questo li spingerà a lavorare in tre direzioni: la misurazione del rischio carbonio insito nei loro investimenti, la decarbonizzazione dei portafogli e il disinvestimento dal settore dei combustibili fossili.