Polizze vita: l’indennizzo segue le regole della successione

di David Canaletto -

Secondo la Cassazione, la quote spettanti ai beneficiari in caso di morte dell’assicurato devono essere ripartite analogamente all’eredità

La Corte di Cassazione torna ad occuparsi di polizze vita: questa volta l’intervento della Suprema Corte (sentenza 19210/2015) si concentra sulle modalità di ripartizione dell’indennizzo di una polizza per il caso di morte, con più beneficiari.

Nel caso specifico, il contraente della polizza vita aveva genericamente designato come beneficiari in caso di morte “gli eredi testamentari o, in mancanza di testamento, gli eredi legittimi”. Deceduto l’assicurato, la compagnia assicurativa ha identificato come beneficiari la moglie dell’assicurato e i due figli della sorella, defunta, dell’assicurato stesso. Secondo una prassi interpretativa consolidata, il liquidatore ha ripartito il capitale in parti uguali: attribuendo un terzo a ciascuno dei tre beneficiari. Ciò in ragione del fatto che il diritto al beneficio deriva da un diritto proprio degli aventi causa e non da diritto successorio.

La vedova dell’assicurato ha però contestato questa interpretazione, decidendo di agire in giudizio pretendendo a suo favore, in base all’articolo 582 del Codice civile, la quota successoria, pari ai due terzi dell’intero importo.

Sia in primo grado sia in appello la richiesta è stata respinta dai giudici di merito. Non così la Corte di Cassazione, che ha annullato la sentenza di appello. In pratica, la Suprema Corte sostiene che la volontà dell’assicurato di designare come beneficiari gli eredi legittimi non doveva limitarsi a una mera identificazione degli aventi diritto, ma doveva anche arrivare a una quantificazione coerente con quanto ad essi spetterebbe realmente secondo il diritto di successione.

La sentenza ha una portata tanto maggiore in quanto in piena controtendenza sia rispetto agli orientamenti giurisprudenziali dominanti, sia alle normali prassi praticate degli uffici liquidativi delle compagnie vita. Questi infatti, una volta identificati i beneficiari, liquidano il capitale caso morte in parti uguali e non secondo le quote del diritto successorio.

Quali conseguenze avrà questo improvviso autorevole cambio di direzione? E come fare per evitare eventuali interminabili e dispendiosi contenziosi giudiziari?

Ogni polizza vita, che sia una classica temporanea caso morte, una rivalutabile o una polizza finanziaria di tipo unit linked, richiede, in fase di stipula, che il contraente designi uno o più beneficiari, da indennizzare in caso di premorienza dell’assicurato.

Le usuali prassi commerciali trascurano e sorvolano su questo momento topico. Prevale l’utilizzo di una formula preconfezionata del tutto simile a quella al centro della vicenda giudiziaria che abbiamo visto: “eredi testamentari dell’assicurato o, in mancanza di testamento, eredi legittimi”. È una designazione generica che in molti casi non genera problemi ma, in situazioni successorie più complesse, può scatenare furibonde liti giudiziarie.

È quindi consigliabile che il contraente, nel momento in cui sottoscrive una polizza vita, dedichi più attenzione alla designazione dei beneficiari. Se ritiene di privilegiare persone che gli sono più care di altre, può evitare di utilizzare le formule preconfezionate. È sufficiente indicare il beneficiario per nome e cognome oppure in base alla relazione di parentela esistente (per esempio la moglie, i figli eccetera).

Recentemente la Corte di Cassazione è intervenuta con un’altra sentenza (numero 17024/2015)  definendo vessatorie le clausole di una polizza vita che avevano consentito alla compagnia di negare l’indennizzo al beneficiario, in seguito alla morte dell’assicurato. A tale pronuncia era seguito uno specifico intervento dell’Ivass che invitava tutte le compagnie assicurative ad adeguarsi ai principi di comportamento ben evidenziati nella sentenza stessa.