Come misurare l’impatto chimico delle imprese

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Presentato il Chemical footprint benchmark. Tra i partecipanti Levi’s e Johnson & Johnson, e investitori come Aviva e Bnp Paribas

Le sostanze chimiche sono utilizzate nella produzione di ogni tipo di beni, dai vestiti all’elettronica, dai cosmetici ai giocattoli, ma molte di esse sono molto pericolose. Finora le imprese sono state molto poco trasparenti per quanto riguarda il loro impiego di sostanze chimiche. Oggi però le cose stanno cambiando. Da un lato i consumatori vogliono sapere cosa c’è nei prodotti che acquistano, dall’altro gli investitori e le stesse imprese iniziano a rendersi conto che l’uso di sostanze chimiche pericolose comporta anche rischi finanziari che devono essere gestiti in modo appropriato.

Nasce da questo nuovo atteggiamento il primo parametro per misurare l’impronta chimica delle aziende, il Chemical Footprint Benchmark, che ha presentato oggi i suoi primi risultati.

L’iniziativa parte dall’organizzazione ambientalista Clean Production ma tra i firmatari vi sono anche circa 40 investitori istituzionali tra cui Aviva Investors, Bank J. Safra Sarasin e Bnp Paribas Investment Partners, e diverse Ong. Tra le imprese partecipanti al progetto, più di 20 in questa prima edizione, spiccano i nomi di Levi’s e Johnson & Johnson.

L’indagine ha riservato alcune sorprese. Per esempio per quanto riguarda la scarsa attitudine delle imprese a comunicare dati relativi al uso di sostanze chimiche. L’83% delle aziende analizzate, infatti, ha adottato una lista di sostanze vietate, ma solo il 17% la rende pubblica.

La valutazione dell’impronta chimica è in ogni caso solo agli inizi. Tanto è vero che in media le società analizzate hanno ottenuto un punteggio di appena il 27%. E il report sottolinea come in molti casi le imprese non siano ancora nemmeno consapevoli degli ingredienti chimici usati nei loro prodotti e di quali siano più a rischio.