Buoni postali: in arrivo la resa dei conti

di Rosaria Barrile -

Il diritto a riscuotere quelli emessi nel ’74 e nel ’75 è ormai prescritto. Ma per quelli emessi dal ’76 in poi la battaglia è ancora in corso e si prepara ad arrivare in Cassazione

Tornano ad accendersi i riflettori sulla disputa che riguarda migliaia di buoni fruttiferi delle serie M, N, O e P, emessi fra il 1974 e il 1986.

L’occasione è costituita dalla scadere di una data, il 1° luglio scorso.

E qui occorre tornare a ritroso nel tempo: il 1° luglio del 1986 il governo cancellò i rendimenti a doppia cifra allora offerti dai buoni fruttiferi adeguandoli all’inflazione che, dal 16% del 1976, era scesa fino a toccare il 6% dieci anni dopo. Poiché si trattava del rendimento di buoni postali che avevano una scadenza trentennale, quella data segna l’avvio della vicenda che oppone Poste Italiane alle associazioni dei consumatori, su cui si stanno accumulando sentenze su sentenze, già dal 2013.

Come conseguenza del decreto ministeriale 148, con effetto retroattivo, venivano dimezzati, letteralmente dall’oggi al domani, i rendimenti dei buoni emessi dal 1974 in poi.

In quel momento non vi fu però nessuna alzata di scudi: alcuni risparmiatori in possesso di quei buoni, e messi in allarme, si fidarono della risposta data in buona fede da molti dipendenti postali, ovvero che a far fede erano le condizioni indicate sul retro del buono postale.

Oggi invece i buoni stanno andando a scadenza, tra le reazioni incredule dei consumatori che allo sportello si vedono rimborsare esattamente la metà di quanto previsto e riportato in origine sul documento cartaceo.

Riepilogando: in questo momento i buoni trentennali emessi nel 1974 e 1975 non possono più essere incassati, visto che erano “pagabili entro dieci anni dalla scadenza“, e quindi fino al 2014 e al 2015. Ma chi possiede buoni emessi fra il 1976 e il luglio 1986 è ancora invece sul piede di guerra, come testimoniano le sentenze dei tribunali.

Oltre a quelli già riportati da Lamiafinanza.it dal 2013 a oggi, due casi più recenti sono stati segnalati da La Repubblica nei giorni scorsi: “Don Antonio, parroco a Massa di origini brindisine, che si è rivolto all’associazione di consumatori Agitalia reclamando 898mila euro. A tanto, infatti, ammonta il rendimento di una cartella da 50 milioni di lire che ricevette in dono dal padre nel 1976, nel giorno in cui fu ordinato sacerdote. Le Poste gli hanno riconosciuto 449mila euro, in base agli interessi calcolati secondo il decreto Gava-Goria, ma il prete ha avviato un’azione legale per avere la differenza.

Molto simile è la vicenda di Giovanna Russo, musicista cremonese residente a Fermo. Il 22 aprile del ’76, per il suo battesimo, i genitori le regalarono un buono da 5 milioni di lire. Alla scadenza, le Poste le hanno rimborsato 45.651 euro, lei ora ne pretende altrettanti”.

La situazione è resa ancora più confusa, per assurdo, da una decisione del giudice di pace di Savona, che avrebbe dovuto invece contribuire a fare chiarezza.

Il giudice aveva accolto il ricorso del risparmiatore facendo riferimento a una sentenza delle sezioni unite della Cassazione del 2007 che aveva dato ragione a un consumatore a cui erano stati liquidati buoni “a termine” per i quali erano stati impiegati moduli non aggiornati.

La motivazione fornita dalla Cassazione è stata rapidamente utilizzata a proprio vantaggio da Poste che si è dichiarata pronta a rimborsare integralmente gli interessi solo in casi simili a quello citato ovvero quando “siano stati commessi palesi errori materiali”, dal proprio personale di sportello ovviamente.

Niente da fare invece per tutti gli altri buoni (quelli emessi fra il 1976 e il 1986) per cui Poste si prepara a resistere, negando il rimborso integrale, fino alla Cassazione.