Il rilancio della previdenza complementare riparte dal tfr ?

Roberto Carli -

Il nostro ordinamento previdenziale alla luce delle diverse riforme è strutturato sul sistema dei pilastri.

Qual è lo “stato dell’arte” della previdenza complementare a dieci anni dal 2007, la data in cui è entrato il dlg 252 /2005 che ne ha modificato il meccanismo di funzionamento, semplificandolo e introducendo benefici fiscali più significativi? L’impressone che emerge , attingendo alla Relazione annuale della Covip, è quello di un sistema sicuramente cresciuto ma che ha necessità di fare quel “salto di paradigma” auspicato più volte dalla medesima Autorità di Vigilanza.

Andando alle adesioni, il totale degli iscritti alla previdenza complementare al 31 dicembre 2016 è pari a circa 7,8 milioni con una crescita del 7,6%.

Con riferimento alle singole tipologie di forma previdenziale, gli iscritti ai fondi negoziali sono aumentati del 7,4%. Anche al netto delle adesioni contrattuali, l’incremento risulta positivo per la prima volta dal 2008. Nei fondi pensione aperti l’aumento è stato del 9,5%, il più elevato degli ultimi anni, mentre i PIP “nuovi” hanno registrato una crescita del 10,3%; includendo anche i vecchi PIP, il segmento dei prodotti assicurativi raggiunge il 42% degli iscritti complessivi. Gli iscritti ai PIP “nuovi” sono quasi 2,9 milioni, (a cui si aggiungono 430 mila dei “vecchi” PIP); ai fondi negoziali sono 2,6 milioni, 1,3 milioni quelli ai fondi aperti e 650.000 ai fondi preesistenti.

In riferimento alla condizione professionale, aderiscono alla previdenza complementare 5,8 milioni di lavoratori dipendenti, di cui 200 mila del settore pubblico, e 2 milioni di lavoratori autonomi. Il tasso di adesione permane però sensibilmente più basso tra le donne e i giovani, al Sud e nelle Isole. E’ ancora però poco diffusa tra i giovani e le donne , categorie particolarmente esposte al rischio previdenziale per effetto del contributivo, tra i dipendenti delle Pmi e tra i dipendenti pubblici.

Considerandone la funzione di essenziale rilevanza prospettica il come rilanciare la previdenza complementare rappresenta uno dei “punti chiave” del tavolo di confronto Governo-Sindacati sulla fase 2 della riforma delle pensioni e del gruppo di lavoro che dovrà essere convocato da Ministero del Lavoro e Ministero dell’Economia 30 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Legge concorrenza. Una delle possibilità di cui si sta discutendo è quella di introdurre una nuova finestra di “silenzio assenso”, in analogia a quanto avvenuto nel primo semestre del 2007.

Va opportunamente ricordato come il meccanismo sia ancora in vigore per i nuovi assunti. Va anche sottolineato come l’eventuale “nuovo” silenzio assenso dovrà essere compatibilizzato con le previsioni in materia di tfr contenute nella Legge concorrenza che tendono ad aumentare la flessibilità in entrata del sistema. In particolare si rende possibile la adesione ai fondi pensione destinando anche solo una quota del tfr.

L’obiettivo di una eventuale reintroduzione del silenzio assenso vorrebbe essere quello di prevedere un forte impulso alla scelta del lavoratore per favorirne la adesione alla previdenza complementare.

Ma quali sono le evidenze numeriche relative alla scelta fin qui condotta sul tfr ? Dall’avvio della riforma, si legge nella Relazione annuale della Covip,, la ripartizione delle quote di tfr generate nel sistema produttivo fra i diversi utilizzi è rimasta pressoché costante, circa il 55 per cento dei flussi resta accantonato in azienda, un quinto del tfr viene annualmente versato ai fondi di previdenza complementare e il residuo viene indirizzato al Fondo di Tesoreria.

Quello che va sottolineato è che non basterà la semplice reintroduzione del silenzio assenso per dare il “la’” ai fondi pensione. Quello che appare davvero indispensabile è la attivazione di percorsi di educazione previdenziale per rendere edotti i cittadini sulla utilità dei fondi pensione e valorizzi i profili di vantaggio e di utilità concreta della previdenza complementare. Compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica andrebbero poi irrobustiti i già numerosi benefici fiscali.