L’aumento automatico dell’età pensionabile è una vera e propria clausola di salvaguardia del nostro sistema previdenziale

Roberto Carli -

“Più su “ cantava in una evergreen Renato Zero. E la tendenza verso l’alto sembra il destino dell’età pensionabile nel nostro Paese anche alla luce delle recentissime osservazioni espresse dalla Ragioneria Generale dello Stato nel proprio Rapporto annuale sulle Tendenze di medio lungo periodo del sistema previdenziale.

Va opportunamente ricordato in premessa come l’innalzamento dell’età pensionabile rappresenta una delle tre direttrici di marcia perseguite dal ciclo evolutivo delle riforme avviate dagli anni Novanta insieme con la introduzione del metodo di calcolo contributivo e con lo sviluppo della previdenza complementare.

Due sono le prossime tappe “in salita” dell’età pensionabile. In primo luogo dal 1 gennaio 2018 si conclude il percorso di equiparazione dei requisiti anagrafici delle donne lavoratrici del settore privato, “accelerato” dalla riforma Fornero, a quello degli uomini. Le donne lavoratrici del settore pubblico sono invece già uniformate ai colleghi maschi. Vi è poi la vexata quaestio della indicizzazione automatica dell’età pensionabile alla speranza di vita il cui prossimo adeguamento dovrebbe “scattare” dal 2019. Il tema è all’ordine del giorno del tavolo di concertazione tra Governo e Sindacati in corso (il prossimo appuntamento è calendarizzato il 30 agosto), con la “forte” richiesta sindacale di sterilizzare il prossimo “scatto” con l’autorevole appoggio parlamentare rappresentata dalla proposta degli ex Ministri del Lavoro Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, attualmente Presidenti delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, che va in questa direzione. La posizione del Governo è per il momento attendista. Come ha dichiarato il Ministro Poletti se ne potrà discutere dopo che l’ISTAT avrà fornito gli elementi di valutazione, ovvero tra settembre e ottobre. Ma di cosa si tratta ? E quali sono le considerazioni della Ragioneria Generale dello Stato a tal proposito ?

Il meccanismo: in un Paese come il nostro caratterizzato da un progressivo processo di senilizzazione della popolazione si è cercato di creare un legame automatico tra età pensionabile e innalzamento della vita media certificato dall’Istat, , svincolando il rapporto dalle dinamiche di ricerca del consenso elettorale, per garantire la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico.

Vi è poi un legame anche con l’adeguatezza delle prestazioni dal momento che nel contributivo rinviare il pensionamento significa incrementare il montante contributivo con una prestazione ragionevolmente più elevata. Come ricordava l’Istat in una specifica Audizione parlamentare, fino ad ora sono stati prodotti due aggiornamenti; il primo relativo al triennio 2007-2010; il secondo al triennio 2010-2013, richiesto nel 2014 ed entrato in vigore dal 1° gennaio 2016.

Essendo stata innalzata l’età pensionabile a 66 anni e 7 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2018, l’aggiornamento successivo dei requisiti entrerà in vigore dal 1° gennaio 2019 e sarà costruito sul triennio 2013-2016. Dal 1° gennaio 2021, poi, gli aggiornamenti saranno su base biennale. Quali sono le previsioni espresse dall’Istituto Centrale di Statistica ? Dai 66 anni e 7 mesi, in vigore per tutte le categorie di lavoratori dal 2018, si stima si passerebbe a 67 anni a partire dal 2019, quindi a 67 anni e 3 mesi dal 2021.

Per i successivi aggiornamenti, a partire da quello nel 2023, si prevede un incremento di due mesi ogni volta. Con la conseguenza che l’età pensionabile salirebbe a 68 anni e 1 mese dal 2031, a 68 anni e 11 mesi dal 2041 e a 69 anni e 9 mesi dal 2051.

E’ utile anche rammentare come il nostro ordinamento pensionistico, quasi un unicuum in Europa, preveda anche un secondo automatismo rappresentato dall’aggiornamento con la stessa periodicità dell’innalzamento automatico dell’età pensionabile dei coefficienti di trasformazione del metodo di calcolo contributivo sulla base dei parametri demografici ed economici forniti dall’Istat al Ministero del lavoro e delle politiche sociali che opera di concerto col Ministero dell’Economia e delle Finanze. I coefficienti hanno la funzione di trasformare in pensione il montante contributivo accumulato da ciascun lavoratore al raggiungimento dei requisiti di pensionamento.

Dando uno sguardo oltreconfine nell’Ue, come ricorda proprio la Ragioneria Generale dello Stato, alcuni Paesi, come la Svezia, la Germania, la Finlandia, il Portogallo, la Spagna hanno introdotto meccanismi di adeguamento automatico del livello delle prestazioni rispetto alle variazioni della speranza di vita. Altri ancora, come la Danimarca e la Grecia, hanno previsto meccanismi di adeguamento dei requisiti di accesso in funzione dell’allungamento della sopravvivenza.

Le osservazioni della RGS e dell’Inps: la Ragioneria Generale dello Stato sottolinea come i due automatismi sono tesi a garantire le condizioni di equilibrio del nostro sistema previdenziale, Considerando l’elevato debito pubblico del nostro Paese con l’”occhio vigile” di Bruxelles viene anche ricordato che entrambe le misure sono state valutate con estremo favore dagli Organismi internazionali e, in primo luogo, in ambito europeo. Considerando le richieste di stop al prossimo innalzamento dal 2019 viene ancora sottolineato come “interventi legislativi diretti non tanto a sopprimere esplicitamente gli adeguamenti automatici previsti dalla normativa vigente, ma a limitarli, differirli o dilazionarli, determinerebbero un sostanziale indebolimento della complessiva strumentazione del sistema pensionistico italiano volta a contrastare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione, in quanto verrebbe messa in discussione l’automaticità e l’endogeneità degli adeguamenti stessi, per ritornare nella sfera della discrezionalità politica con conseguente peggioramento della valutazione del rischio Paese nei termini sopra indicati”.

Il Rapporto rimarca anche gli effetti sull’adeguatezza delle prestazioni. La soppressione dell’adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento, contestualmente al significativo peggioramento del rapporto fra spesa pensionistica e PIL dovuto all’anticipo del pensionamento determinerebbe infatti un abbattimento crescente nel tempo dei tassi di sostituzione fino a raggiungere, alla fine del periodo di previsione, 12,8 punti percentuali per un lavoratore dipendente e 10 punti percentuali per un lavoratore autonomo, con conseguente peggioramento anche dell’adeguatezza delle prestazioni pensionistiche rispetto alla normativa vigente.

La riduzione si spiega in ragione sia del più basso coefficiente di trasformazione, correlato all’età di pensionamento, e sia della corrispondente minore anzianità contributiva. Particolarmente eloquente anche il “grido d’allarme” lanciato dal Presidente dell’Inps Tito Boeri che reputa pericolosissimo toccare il meccanismo che adegua l’età di pensionamento all’aspettativa di vita, “perchè può avere sia effetti in avanti che all’indietro” con un “aggravio di spesa” stimato in 141 miliardi di euro.Con riferimento all’effetto sull’importo delle future pensioni Boeri sottolinea poi, “col sistema contributivo più si lavora, più i trattamenti aumentano”.