La previdenza complementare è indispensabile per la adeguatezza del nostro sistema pensionistico

Roberto Carli -
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L’Italia è interessata da un processo di invecchiamento della popolazione fra i più accentuati in Europa e nei Paesi sviluppati.

Al fine di contenere l’impatto dell’allungamento della vita media sulla sostenibilità del sistema pensionistico e, conseguentemente, delle finanze pubbliche, il nostro Paese ha perseguito una doppia linea di interventi riformatori, in coerenza con le indicazioni e le raccomandazioni definite a livello europeo.

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La prima ha riguardato l’introduzione del sistema di calcolo contributivo, basato sull’equivalenza attuariale fra prestazioni e contributi. La seconda, articolata su una pluralità di interventi successivi, ha provveduto ad innalzare i requisiti minimi di età (e/o contribuzione) per il pensionamento di vecchiaia ordinario ed anticipato, in tutti i regimi pensionistici (sistema retributivo, contributivo e misto), portandoli a livelli compatibili con le condizioni di sostenibilità strutturale del sistema. Lo sottolinea la Ragioneria Generale dello Stato nelle proprie Tendenze di Medio-Lungo Periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario .

Quali sono le principali evidenze? Partendo dai profili di sostenibilità finanziaria. Si rimarca come il processo di riforma del sistema pensionistico italiano è riuscito in larga parte a compensare i potenziali effetti della transizione demografica sulla spesa pubblica nei prossimi decenni. Più in dettaglio, i risultati della previsione del sistema pensionistico possono essere meglio analizzati individuando tre fasi temporali.

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Dopo la fase di crescita conseguente alla contrazione del PIL per effetto della crisi economica, a partire dal 2014 il rapporto fra spesa pensionistica e PIL inizia una fase di decrescita e successiva stabilizzazione che si protrae per circa un quindicennio.

Tale andamento è per lo più imputabile alla prosecuzione graduale del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento e alla contestuale applicazione, pro rata, del sistema di calcolo contributivo.

Per il resto, il rafforzamento della crescita economica, supportato sia dall’aumento dei tassi di occupazione che dalla dinamica della produttività, risulta sostanzialmente compensato dai primi effetti negativi della transizione demografica.

Nei quindici anni successivi (2030-2044), il rapporto fra spesa pensionistica e PIL riprende a crescere in conseguenza dell’aumento del numero di pensioni. Tale aumento dipende sia dalle generazioni del baby boom che transitano dalla fase attiva a quella di quiescenza, sia dal progressivo innalzamento della speranza di vita. Quest’ultimo effetto risulta contrastato dai più elevati requisiti minimi di accesso al pensionamento correlati all’evoluzione della sopravvivenza, che si applicano sia al regime misto che a quello contributivo.

Oltre ai noti fattori demografici, l’incremento del numero di pensioni è favorito dalla cessazione dell’effetto di contenimento prodotto dal calo dimensionale delle pensioni di invalidità. Nonostante la contrazione della popolazione in età di lavoro, l’aumento dei tassi di occupazione produce una sostanziale costanza del numero di occupati. Il deterioramento del rapporto demografico risulta solo in parte compensato dalla riduzione della dinamica della pensione media rispetto a quella della produttività che consegue al completamento della fase di transizione verso il sistema di calcolo contributivo.

In questi anni, infatti, hanno accesso al pensionamento le ultime coorti di assicurati assoggettati al regime misto e le prime coorti di assicurati integralmente assoggettati al sistema contributivo, i cui importi di pensione risultano pienamente influenzati dalla revisione dei coefficienti di trasformazione.

La decrescita del rapporto tra spesa pensionistica e PIL, nell’ultima fase del periodo di previsione (2045-2070), è dovuta essenzialmente alla progressiva stratificazione delle pensioni liquidate integralmente con il sistema di calcolo contributivo che continua a produrre un contenimento della pensione media rispetto ai livelli retributivi.

Tale risultato è favorito anche dall’inversione di tendenza del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati la cui crescita tende ad azzerarsi poco prima del 2050, dove raggiunge il livello massimo del 93,2%, per poi flettere negli anni successivi. La spiegazione di tale andamento è da ricercare nella graduale eliminazione delle generazioni del baby boom e nell’adeguamento alla speranza di vita dei requisiti per la maturazione del diritto alla pensione. In quest’ultima fase, cessa l’effetto incrementativo sull’importo medio di pensione prodotto dall’elevamento dei requisiti minimi di pensionamento degli anni iniziali del periodo di previsione, specie in campo femminile, mentre resta l’effetto indotto dall’automatismo che lega gli stessi requisiti minimi alla speranza di vita.

Per quel che riguarda la entità delle future pensione si sottolinea come la pensione media tende a ridursi progressivamente in rapporto alla produttività, con una contrazione complessiva del 17-18%, nell’intero periodo di previsione.

La riduzione è imputabile, in gran parte, all’applicazione graduale del sistema di calcolo contributivo e alla revisione periodica dei coefficienti di trasformazione. Tale riduzione sarebbe risultata di gran lunga superiore in assenza degli aumenti dei requisiti di accesso al pensionamento previsti dal complessivo processo di riforma, e dall’adeguamento periodico degli stessi rispetto alle variazioni della speranza di vita, come previsto dalla normativa vigente. Interessante è anche l’analisi dei tassi di sostituzione.

Un lavoratore dipendente del settore privato, che nel 2010 avrebbe ottenuto una pensione pari al 75,2% dell’ultima retribuzione, nel 2070 vedrà ridotta tale percentuale al 60,5%, a parità di requisiti contributivi. Nel caso di un lavoratore autonomo, la riduzione del tasso di sostituzione risulta assai più consistente per via della più bassa aliquota di computo prevista nel sistema contributivo0. Nel periodo di previsione, il tasso di sostituzione subisce una contrazione di circa 25 punti percentuali, passando dal 74,1% del 2010 al 49,1% del 2070.

Diventa indispensabile allora il ricorso ai fondi pensione che modifica notevolmente l’andamento futuro dei tassi di sostituzione. Secondo le proiezioni nel 2070, con il contributo della previdenza complementare, il tasso di sostituzione lordo passa da 60,5% a 74,9%, per i dipendenti privati, e da 49,1% a 65%, per gli autonomi, con un incremento, rispettivamente, di 14,4 punti percentuali e di 15,9 punti percentuali. E’ allora assolutamente necessario promuovere una maggiore diffusione delle forme pensionistiche complementari per supportare gli Italiani nella “quarta età”.