ESG, i rischi del greenwashing

Sebastien Thevoux-Chabuel -

Dato che le domande relative ai temi ESG sono sempre più diffuse negli inviti a presentare proposte (RFP, Request for proposals), è in una certa misura comprensibile che gli asset manager stiano cercando di articolare ciò che di fatto è diventato “una licenza per operare”.

Ma dato il track record del settore, non è forse giusto chiedersi se coloro che operano nell’universo del risparmio gestito corrono il rischio di promettere troppo o addirittura di distorcere la loro performance ESG? Quali sarebbero le ripercussioni se gli investitori arrivassero a credere che le aziende stiano intraprendendo un’operazione di “greenwashing”, cioè stanno ritraendo i propri prodotti, attività o politiche come attente all’ambiente quando in realtà non lo sono, al fine di apparire in una miglior luce a un segmento crescente dei loro clienti? Un indizio può essere trovato nella notizia fatta trapelate dal Financial Times secondo cui l’UNPRI (United Nations Principles for Responsible Investment) ha recentemente compilato una lista – non disponibile al pubblico – di 185 investitori che potrebbero essere esclusi dal gruppo dei firmatari dei Principi per l’investimento responsabile a causa di un potenziale greenwashing.

Chiaramente alcune società potrebbero essere in grado per un po’ di tempo di tenere in piedi una bella storia di “sostenibilità”. Tuttavia, per quanto riguarda le società che seguiamo, Comgest conduce ricerche approfondite in modo da distinguere quelle realtà che a nostro avviso hanno un approccio ESG serio e trasparente. Sulla base della nostra esperienza abbiamo elaborato questi consigli che speriamo possano aiutare gli investitori nelle loro analisi.

In primo luogo, nel valutare la strategia di investimento sostenibile e la performance ESG di un asset manager, consigliamo di usare lo “smell test”, che semplicemente significa chiedere a se stessi: Questa strategia ESG ha senso nel contesto di tutto ciò che il gestore fa e riferisce in merito?

Crediamo non abbia senso sostenere di fare engagement se un titolo viene tenuto in portafoglio mediamente per un anno o meno. Approfondire la frequenza del turnover del portafoglio è un buon inizio per valutare quanto davvero l’approccio ESG sia importante per migliorare il profilo rischio/rendimento degli investimenti di un gestore.

In secondo luogo può essere indicativo chiedersi come viene svolta la ricerca ESG dagli asset manager nel corso del processo di investimento. Si basa principalmente sulla ricerca proprietaria o piuttosto su provider esterni? Nella nostra esperienza non esiste alternativa alla ricerca interna se le tematiche ESG sono di primaria importanza, proprio come sarebbe difficile per un gestore veramente attivo basare la propria opinione e le proprie azioni solamente sulla ricerca di broker, senza utilizzare competenze proprie.

Ad alcuni gestori di portafoglio è stato semplicemente detto di imparare un paio di belle storie legate ai temi ESG, ne segue che se gli viene chiesta l’ultima volta in cui l’integrazione ESG ha portato a una decisione di investimento sbagliata, potrebbero essere colti alla sprovvista. Se presa sul serio, l’integrazione ESG rimane un esercizio di tentativi ed errori e dovrebbe essere spiegata chiaramente.

È sempre sorprendente sentirsi dire dagli investitori che fanno attività di engagement con le società (a nostro avviso, di solito in modo opaco e in ultima analisi con scarsi risultati), e scoprire poi che votano solo in una percentuale piuttosto modesta delle assemblee generali degli azionisti in cui avrebbero il potere di farlo. A nostro avviso, una delle prime responsabilità di un investitore è quella di votare. Infatti, il diritto di voto di un investitore può dare un segnale forte o addirittura forzare il cambiamento nel consiglio di amministrazione, in particolare quando esso viene esercitato con una chiara spiegazione della sua logica.

Di conseguenza, un investimento responsabile e sostenibile dovrebbe in teoria risultare in portafogli che si discostano e sono in una posizione migliore rispetto ai benchmark comparativi, in termini di varie metriche ESG, come l’impatto ambientale, la creazione netta di posti di lavoro o le aliquote fiscali che le società in portafoglio pagano rispetto alle imposte dovute. Se i portafogli non rispondono a queste caratteristiche “responsabili”, è plausibile che il portafoglio stesso sia oggetto di greenwashing.


Sebastien Thevoux-Chabuel – ESG Analyst / Portfolio Manager – Comgest