Il dollaro forte indebolisce i mercati emergenti

Alessandro Tentori -

La performance dei mercati emergenti è negativa da inizio anno sia sull’azionario (-9.7%) che sull’obbligazionario (-2.9% in valuta forte) e contrasta fortemente con la performance dei mercati azionari USA.

A nostro avviso vanno considerati alcuni elementi chiave per analizzare la situazione attuale nonché per avanzare delle ipotesi sui rendimenti attesi.

Non tutti i mercati emergenti hanno subito un deterioramento dei fondamentali e del sentiment tale da legittimare le performance del 2018. Il significativo aumento di dispersione degli spread in valuta forte riflette dei fattori idiosincratici, sia di carattere economico che politico. Si pensi per esempio alla dipendenza tra politica e strategia monetaria in Turchia. Anche l’aumento del prezzo del greggio è un fattore idiosincratico, perché ha messo sotto pressione la bilancia commerciali dei paesi emergenti importatori di petrolio. Più in generale, il sentiment e il volume di scambi commerciali in aggregato risentono del protrarsi della cosiddetta guerra dei dazi, il cui effetto negativo principale si traduce in un aumento dell’incertezza.

A livello globale, il fattore primario per la performance degli emergenti è l’inasprimento delle condizioni finanziarie in dollari statunitensi. La Fed è innegabilmente in un periodo di normalizzazione della politica monetaria e potrebbe portare il tasso ufficiale al 2.25-2.50% entro fine anno. Non escludiamo un ulteriore aumento al 3.00-3.25% nel 2019, scenario che al momento viene sottostimato dai mercati. Il dollaro americano potrebbe trarre vantaggio dalla previsione di un aumento dei rendimenti reali e continuare la performance positiva (+2.5% da inizio anno) anche nel 2019, portando cosi a un ulteriore “tightening” delle condizioni finanziarie.

Condizioni finanziare USA: costo del denaro in aumento

Ma perché preoccuparsi delle condizioni finanziarie statunitensi? Due sono gli elementi chiave. Il primo è legato alla durata del ciclo economico, che si trova in una fase di espansione da ormai 116 mesi e si appresta a divenire il ciclo più lungo della storia americana. Lo scenario di rischio prevede uno shock inflattivo, seguito da una risposta veemente della Fed e di conseguenza un rallentamento della crescita che potrebbe non solo sfociare in una recessione, ma addirittura generare instabilità finanziaria. Il secondo è legato alla leva finanziaria, che globalmente ormai sorpassa i livelli di guardia del 2007.
La leva finanziaria è anche un importante canale di trasmissione del rischio tra Stati Uniti e mercati emergenti. Gli ingenti volumi di emissione in dollari americani da parte di corporates emergenti durante il periodo di quantitative easing della Federal Reserve dovrà essere rifinanziato nei prossimi anni, presumibilmente a tassi d’interesse più alti, aumentando in tal modo il costo di funding per gli emittenti. Inoltre, la regulation finanziaria ha fatto si che in aggregato il rischio transitasse dai dealing books delle banche ai portafogli degli asset managers globali, drenando cosi la liquidità implicita prevista da una infrastruttura finanziaria basata primariamente sul settore bancario.

Asset Allocation

Nonostante l’aumento dell’incertezza sugli Emergenti, la forte dispersione di performance e rendimenti attesi ci suggerisce un approccio selettivo e value-oriented su questa classe di attivo. Ovviamente le valutazioni implicano rendimenti attesi in aumento che pensiamo di realizzare – in assenza di ulteriori shocks – nel medio periodo. Rimaniamo inoltre positivi sull’azionario globale e in particolar modo su quello statunitense, anche se si cominciano a intravedere i primi sintomi di un ciclo congiunturale maturo. L’allocation è quindi per definizioni più tattica che strategica. Sul fixed income, invece, prevediamo ulteriori rialzi dei tassi in USA, mentre la politica monetaria della BCE è ormai in fase di “uscita” dal QE. Ne risulta un sottopeso sul fixed income Europeo.


Alessandro Tentori – CIO – AXA Investment Managers Italia