Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli*

Matteo Ramenghi -

Una delle principali tendenze di questi anni nel mondo degli investimenti è il crescente interesse per la sostenibilità. Sempre più investitori richiedono che i propri investimenti riflettano i propri valori e che possano aiutare a fornire risposte ad alcune delle grandi sfide dei nostri tempi: l’inquinamento, il riscaldamento globale, la polarizzazione della ricchezza ecc.

Sul mercato abbondano le definizioni e gli acronimi riguardo gli investimenti sostenibili, come socially responsible investing (SRI), environmental, social and governance investing (ESG) e tanti altri. Nel concreto, si tratta di orientare i propri investimenti verso quegli strumenti e quelle imprese che rispettano determinati principi e, magari, agiscono direttamente su alcune tematiche sensibili.

Ciò può essere fatto con tre modalità: escludendo le aziende che sono attive in settori non sostenibili (armi, tabacco, scommesse, combustibili fossili, nucleare ecc.); integrando nelle proprie decisioni d’investimento considerazioni sulla governance, l’impatto ambientale e quello sociale; e, infine, puntando sul cosiddetto impact investing, cioè la ricerca di un impatto diretto sulla società tramite i propri investimenti.

Quest’ultima modalità è di più difficile esecuzione e richiede strumenti altamente specializzati, come alcune forme di private equity, i micro finanziamenti e altre soluzioni talvolta non liquide e, ad oggi, rimane una nicchia. Invece, i primi due approcci, esclusione e integrazione, rappresentano già un universo investito di quasi 35mila miliardi di euro – per intenderci, circa 15 volte il nostro debito pubblico.

Una delle domande che ci viene posta più di frequente dai nostri clienti è se scegliere una tipologia di investimenti sostenibili comporti minori rendimenti o maggiori rischi. L’evidenza empirica non mostra sostanziali differenze. Il fondo sovrano norvegese – che da questo punto di vista segue criteri rigorosi – ha calcolato che evitare l’esposizione ad armi, tabacco e carbone ha ridotto la sua performance di meno del 2% nel corso di 10 anni.

Al contrario, spesso scegliere strategie sostenibili significa correre rischi inferiori rispetto a investimenti tradizionali che risultano maggiormente esposti a class action, rischi reputazionali, disastri ambientali ecc.

Si tratta di rischi sempre più rilevanti, in considerazione della maggiore sensibilità dell’opinione pubblica. Per esempio, alla fine degli anni ’70, la Ford fu costretta a pagare un risarcimento pari a meno dello 0,01% dei propri ricavi per via di un difetto dei serbatoi che causò 20 morti. Al contrario, il risarcimento della BP per il disastro ambientale del 2010 le è costato quasi il 7% dei ricavi. Gli investimenti sostenibili, quindi, possono offrire profili di rischio-rendimento comparabili a quelli tradizionali, rispettando i principi degli investitori e contribuendo a spingere le società quotate verso comportamenti più virtuosi.

(*) Proverbio dei Nativi americani.


Matteo Ramenghi – Chief Investment Officer – UBS WM Italy