Gente normale, tassi non normali – o forse sì?

-

L’evoluzione della popolazione
può darci informazioni utili per
formulare le nostre aspettative sui
tassi di interesse a lunga scadenza
nel lungo periodo

Che la popolazione stia invecchiando è un fatto
noto da tempo. Fra le tante possibili implicazioni
che questo fenomeno può avere, una di quelle
meno discusse riguarda il livello dei tassi di
interesse a lunga scadenza.
In un mondo in cui i fondamentali
macroeconomici possano ancora avere
importanza – che è ancora il mondo in cui
viviamo, anche se anni di politiche monetarie
non convenzionali hanno avuto un effetto
destinato a durare nel tempo – storicamente
si è osservata una relazione piuttosto stretta
fra livello della crescita economica e tasso di
interesse a lunga scadenza. “Storicamente”
significa fino all’inizio del Quantitative easing.
Le economie di Stati Uniti e Germania sono due
buoni esempi. Si può notare come l’andamento
della crescita del PIL reale e dei tassi reali a 10
anni sia molto simile fino al 2011-2013; poi i tassi
scendono, mentre la dinamica di crescita del
PIL rimane in un intorno dei livelli precedenti. È
interessante notare come anche dopo il 2011-
2013, l’evoluzione del PIL e dei tassi rimanga
molto simile, cioè le due linee continuano a
muoversi in modo analogo, ma su livelli diversi.

———

Il Giappone è un altro caso evidente.

———–

Gli interrogativi sul futuro della politica
monetaria e sulle possibili traiettorie dei tassi
di interesse sono molti ed è giusto porseli.
Poiché trovare risposte è difficile, forse
possiamo utilizzare il legame fra tasso di
crescita economica e tassi di interesse senza la
presunzione del personaggio di Edith Wharton
di poter distinguere ciò che conta da ciò che
non conta, ma almeno per arricchire le ipotesi di
lavoro.
La crescita, in estrema sintesi, dipende
da due fattori principali: la crescita della
popolazione in grado di lavorare e la crescita
della produttività. Analizzare quest’ultima è
una sfida paragonabile alla ricerca del Sacro
Graal, e forse potremmo non sbagliare molto se,
dopo i grandi progressi dei decenni scorsi, non
ipotizziamo, prudenzialmente, balzi in avanti
della produttività nei prossimi anni.

———-

Quindi possiamo concentrarci sull’evoluzione
della fascia di popolazione fra i 25 e i 49 anni,
quella che storicamente ha costituito la struttura
portante della forza lavoro delle principali
nazioni.
In questo senso, le previsioni per gli Stati Uniti e,
soprattutto, la Germania, sono impietose.
Il peso della percentuale della popolazione
fra i 25 e i 49 anni è destinato a calare e
i grafici che seguono mostrano come i
rendimenti sui titoli di Stato a 10 anni abbiano
– non sorprendentemente, date le premesse
– un andamento simile alla popolazione della
cosiddetta prime working age, e ancora più
simile alla variazione annuale di tale parte della
popolazione.

———–

Va da sé che il livello dei tassi di interesse
dipende dalla complessa interazione di un
insieme di elementi molto ampio, non basta
considerarne uno solo. E i cambiamenti
demografici e della struttura di molte economie
mature, in cui la popolazione dovrà continuare
a lavorare ed essere produttiva anche in età
molto più avanzata che in passato, ridurranno
progressivamente l’importanza relativa della
fascia d’età 25-49 anni.
Con tutti gli sguardi puntati sulle decisioni di
politica monetaria delle Banche Centrali, o
sulla situazione di finanza pubblica, può avere
senso spingerci lungo sentieri meno battuti.
Per realizzare che forse la risalita dei tassi di
interesse, che molti si aspettano prima o poi,
potrebbe essere un viaggio con il freno a mano
tirato. Dopo tutto, Hemingway lo aveva detto:
quando si invecchia tutto sembra molto più
piccolo.

Luca Tobagi – Investment Strategist – Invesco