Gli asset risentono di valutazioni troppo elevate? Tutto dipenderà dal sentiment

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Un anno fa, la politica monetaria più restrittiva, l’aumento dei rischi politici e la decelerazione di molti fattori macroeconomici spiazzarono gli investitori, mentre l’azionario Usa scendeva del 20% nell’ultimo trimestre del 2018. Poi, uno dopo l’altro, questi venti contrari si sono ritirati esattamente nell’ordine in cui sono comparsi, a cominciare dalla politica monetaria. Le azioni Usa hanno reagito con forza, registrando una crescita del 32% circa dal minimo. Tuttavia, riteniamo che il problema attuale sia diverso: la ripresa in corso ha portato molti indici azionari ad essere costosi. Dall’inizio di settembre siamo positivi sull’azionario, grazie alla stabilizzazione macroeconomica e al sentiment eccessivamente pessimista dei mercati, ma adesso non lo siamo più come prima. È giunto il momento di affermare che tutto è costoso e acquistare gli asset in base al loro prezzo di cartellino o è probabile che si verifichi un prolungamento di questo continuo rally? Vediamo oggi una crescita più limitata, ma senza che questa modifichi il nostro posizionamento rialzista.

Quale recessione?

I fattori di crescita si sono notevolmente stabilizzati da giugno, a seguito della fine del rallentamento iniziato nel gennaio 2018. La pausa di “metà ciclo”, come definita dal presidente della Fed Jerome Powell, ha portato ad una situazione singolare: la crescita mondiale rimane discreta, mentre la politica monetaria è diventata ancora una volta più accomodante. Ciò è dovuto ad un’improbabile combinazione di fattori. In primo luogo, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha portato ad una contrazione netta del 3,5% del commercio mondiale tra ottobre 2018 e giugno 2019. Storicamente, tali contrazioni sono indicatori di recessione affidabili: nel 2001, il commercio mondiale subì una contrazione del 6%, nel 2008 del 20% e nel 2015 del 2%. Non c’è da stupirsi se le banche centrali hanno adottato un cambiamento di tono, passando da un quantitative easing contenuto ad un ulteriore allentamento in tutti i Paesi G10. Si profilava lo spettro della recessione ed era necessaria una reazione prudente. Nel frattempo, l’eurozona mostrava forti segnali di decelerazione, in particolare nelle economie storicamente più solide come la Germania. Ma tutto questo è ormai alle spalle, o almeno così sembra. Gli economisti del settore privato prevedono una crescita dell’economia mondiale del 3,1%, mentre sarà del 3% per l’FMI, del 2,9% per l’OCSE e la Banca mondiale. Qualcuno ha detto recessione? La solidità della crescita ha ovviamente molto a che fare con la solidità dei consumi nel mondo sviluppato: +2,6% quest’anno negli Stati Uniti, +1,2% nell’Eurozona e +0,9% in Giappone. Questi numeri sono sovrastati dal +8% cinese, ma forniscono una forte garanzia che non ci sarà una recessione nel 2019 o all’inizio del 2020.

Questa situazione macroeconomica soddisfacente è stata ampiamente confermata dagli utili societari di quest’anno. Le vendite della società S&P 500 sono cresciute di oltre il 3% ogni trimestre, mentre gli analisti prevedono che il quarto trimestre rappresenti il punto di fondo, prima che la crescita delle vendite torni sopra il 4%. Nel caso dell’Eurostoxx 600, le vendite sono cresciute ogni trimestre di almeno l’1%.

Lo stesso vale per molte economie sviluppate. Ogni contrazione degli utili a cui si è assistito quest’anno è stata dovuta principalmente alla contrazione dei margini.

Le valutazioni sono più elevate di quanto si pensi

Se le valutazioni erano attrattive all’inizio di settembre, a nostro avviso la situazione attuale è diversa. Da allora l’azionario ha registrato un forte rialzo, portando la maggior parte degli indici regionali su prezzi elevati. Utilizzando un modello che misura il tasso di sconto del cash flow [discounted cash flow model, ndr], possiamo trasformare il prezzo degli indici regionali in un tasso di crescita degli utili impliciti a 12 mesi. In questo modo, possiamo valutare quanto è costoso l’azionario in relazione all’attuale dinamismo dell’economia. Dall’analisi ne fuoriesce un quadro variopinto: all’indice MSCI World “manca” una crescita degli utili del 18% nei prossimi 12 mesi, trainata dalle azioni americane, previste oggi crescere del 24%, e di quelle europee (+21%). Queste cifre sono coerenti con altri parametri di valutazione: se si considera una sezione trasversale di indicatori, i titoli statunitensi ed europei sono costosi. L’indice S&P 500 si colloca all’87° percentile di valutazione lungo un ampio numero di metriche. Secondo le nostre stime, questo porta solitamente ad una correzione del -4,5% nei tre mesi successivi. L’indice Eurostoxx ha ora raggiunto il suo 81° percentile: le azioni europee non sono più a buon mercato e hanno raggiunto un livello di valutazione pericoloso, simile a quella delle azioni statunitensi. Solo i titoli emergenti e giapponesi rimangono più economici, con una crescita limitata degli utili previsti.

L’azionario è l’unico asset che risente di un rischio di valutazione? Noi non la pensiamo così. Esaminiamo la valutazione relativa ad altri premi per il rischio e la loro storia, sulla base del carry. Questa analisi mostra che gli spread di credito (investment grade e high yield) sono limitati. In effetti, la maggior parte degli strumenti di copertura, come i titoli di Stato, l’oro, i punti di pareggio dell’inflazione, lo yen e il franco svizzero, sono ugualmente costosi. Ciò che rende questa situazione eccezionale è che tutto sembra in una certa misura costoso: sia le coperture che gli asset orientati alla crescita. Riteniamo che le valutazioni attuali siano probabilmente il rischio principale nel nostro scenario ancora positivo.

È il sentiment il game changer?

Il sentiment potrebbe essere il game changer. Nel caso dell’azionario, valutazioni elevate potrebbero benissimo essere giustificate da un continuo miglioramento macroeconomico. Se l’espansione del rapporto prezzo/utile sarà giustificata da una forte crescita degli utili, il rally azionario continuerà e gli asset di copertura saranno a rischio nei prossimi mesi. Perché è così? Soprattutto perché l’ultima parte del rally azionario di quest’anno è avvenuta con un basso tasso di partecipazione: il cash recita la parte del protagonista per ora, nonostante tassi che vanno da bassi a negativi. Secondo le nostre stime, il beta dei fondi multi-asset rispetto agli azioanri rimane inferiore a quello di un anno fa, il che evidenzia una mancanza di convinzione da parte degli investitori. Nulla cresce per sempre, ma è probabile che la crescita degli utili continui nel quarto trimestre di quest’anno e nel primo del 2020. Se abbiamo ragione e gli investitori verranno colti da questa febbre azionaria tardiva, allora il rally non sarà ancora terminato. Questo rischio di valutazione ha creato per ora solo un potenziale di rialzo più limitato, a meno che non si verifichi un forte e ampio miglioramento della crescita.

Da qui potrebbe quindi arrivare il fattore sorpresa. Gli analisti hanno, in media, una visione molto diversa riguardo alla crescita degli utili. Nel corso dell’anno, le loro previsioni di crescita sono diminuite costantemente (come al solito), raggiungendo valori che vanno da zero a negativi. In media, gli analisti si aspettano una battuta d’arresto degli utili. Le aspettative sono più negative per le azioni degli emergenti, dove gli analisti prevedono una contrazione degli utili del 10% nel 2019. Nel caso dell’Europa, questa cifra si aggira intorno allo 0,5% e al 2% negli Stati Uniti. Se queste aspettative si rivelassero errate, le valutazioni sarebbero ampiamente giustificate.

Per tutte queste ragioni, manteniamo il nostro posizionamento positivo nei confronti dei growth asset e lo faremo probabilmente fino a quando la crescita non subirà un sostanziale deterioramento. Abbiamo iniziato ad aggiungere coperture contro un calo dell’azionario. Tuttavia, dato che le le posizioni di copertura degli investitori sono ancora elevate, ci aspettiamo un atteggiamento costruttivo da parte di questi nel caso di calo del mercato azionario.