Traffico illecito di beni culturali: mobilitazione e azione dell’UNESCO

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Attraverso gli attacchi al patrimonio culturale e al premeditato saccheggio di siti archeologici situati nei cinque continenti, in particolare in Europa orientale, Medio Oriente, America Latina e nel Sud-est asiatico, il terrorismo prospera grazie a redditi fraudolenti e distrugge le testimonianze della nostra storia comune. Questa è l’emorragia culturale che l’UNESCO e i suoi partner cercano di affrontare da decenni e che si trovano ad affrontare soprattutto oggi.

Arte e terrorismo – Lotta contro il commercio del patrimonio culturale per finalità barbariche – Il contesto

Per molti anni, la distruzione, il saccheggio e il traffico illecito di beni culturali sono stati e continueranno senza dubbio ad essere importanti fonti di reddito per la criminalità organizzata e i gruppi terroristici. Questo fenomeno non è recente, né tantomeno limitato ad uno specifico territorio, tutt’altro; nessun continente è immune da questi atti riprovevoli, tanto che l’ex direttore generale dell’UNESCO Irina Bokova li ha definiti «crimini di guerra».

Molti credono che la distruzione dei Buddha del VI secolo avvenuta a Bamiyan, in Afghanistan, nel 2001 abbia segnato l’inizio di una nuova era dove la premeditata distruzione del patrimonio culturale è associata a un interesse politico e al desiderio di distruggere moralmente l’avversario attaccando le sue più profonde convinzioni. Invece non c’è nulla di nuovo.

Durante la dissoluzione della Jugoslavia a metà degli anni ’90, il mondo ha compreso che il bombardamento dei siti culturali costituiva anche una tattica militare finalizzata a demoralizzare il nemico. Il saccheggio commesso nel 2003 dagli Stati Uniti durante l’intervento in Iraq e il commercio che ne è seguito sono ancora molto presenti nella nostra memoria collettiva. In particolare, due terzi della collezione del museo di Baghdad non sono ancora stati ritrovati. A seguito di ciò, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) ha adottato un importante testo, la Risoluzione 1483 (2003), la quale al fine di proteggere il patrimonio culturale iracheno ha vietato, con effetto retroattivo, il commercio di beni culturali imponendo il divieto anche alla proprietà culturale. Altrettanto importante per perseguire la protezione della proprietà culturale in caso di conflitto armato è la Risoluzione 2100 (2013) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha istituito la Missione di Stabilizzazione Integrata Multidimensionale delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA), la quale istituito in questo paese uno schieramento di truppe di pace, forze di pace, addestrate dall’UNESCO alla protezione del patrimonio culturale.

Assistiamo all’attuale situazione in Siria e Iraq, ove la distruzione del patrimonio culturale non ha precedenti dopo la Seconda Guerra Mondiale, per non parlare di quanto succede in Libia e nello Yemen. Qui i gruppi terroristici prendono deliberatamente di mira monumenti e siti da un lato al fine di distruggere l’avversario nella sua più profonda identità e dall’altro per contribuire a finanziare le attività terroristiche. Questa barbarie, tanto intensa quanto massiccia, porta all’annichilimento della storia comune dell’umanità e mira a privare milioni di persone della loro identità. Il direttore generale dell’UNESCO ha descritto questi atti come «pulizia culturale».

L’UNESCO è l’unica organizzazione intergovernativa e l’unica agenzia delle Nazioni Unite con un mandato specifico alla protezione del patrimonio culturale, e ha molti anni di esperienza in questo campo. Con partner strategici come INTERPOL, UNIDROIT, l’Organizzazione Mondiale delle Dogane, l’UNODC, l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa, l’UNESCO condanna ripetutamente e con forza le minacce e gli attacchi al patrimonio culturale, spesso utilizzati come mezzo di combattimento in Medio Oriente e altrove. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha coinvolto altresì la comunità internazionale con l’adozione unanime della Risoluzione 2199 (12 febbraio 2015).

Il divieto di commercio di beni culturali ai sensi della Risoluzione 2199

Da molti punti di vista la Risoluzione 2199 è rivoluzionaria. Come spiegato più sopra, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è diventato un attore fondamentale nella lotta contro il traffico illecito, e proprio per attuare detta lotta è stata adottata questa risoluzione. All’inizio dei negoziati per la redazione del testo non erano previsti né i numerosi riferimenti, poi inseriti, al traffico illecito né l’inclusione di un paragrafo dedicato al patrimonio culturale e alle attività criminali ad esso correlate. In sintesi, la Risoluzione 2199 è una risoluzione antiterrorismo che include, tra l’altro, il divieto di commercio di beni culturali. Essa «condanna la distruzione del patrimonio culturale» (paragrafo 15), «osserva con preoccupazione» che le entrate generate dal traffico di beni culturali sono utilizzate per organizzare e realizzare «attacchi terroristici» (paragrafo 16) e «decide» di vietare il commercio di «oggetti sottratti illegalmente» dai territori (paragrafo 17).

Il Consiglio di Sicurezza ha incaricato proprio l’UNESCO di sostenere l’effettiva attuazione di questa risoluzione. La risoluzione proibisce agli Stati membri di importare «oggetti del patrimonio culturale da siti archeologici, musei, biblioteche, archivi e da altri siti da Siria e Iraq». Più precisamente, a quali beni culturali si riferisce questa risoluzione e a quali circostanze? Qual è il legame tra traffico di beni culturali e attività terroristiche? L’ambito di applicazione temporale della risoluzione è scandito da due eventi storici, rispettivamente dall’invasione del Kuwait nel 1990 e dall’inizio della rivoluzione in Siria nel 2011. La sua portata materiale è, tuttavia, meno precisa. Seguendo un’interpretazione letterale, il paragrafo 16 elenca le categorie di beni soggetti al divieto. Nella stessa frase il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite stabilisce un legame esplicito tra questi beni e il finanziamento o il sostegno di attività terroristiche. L’interpretazione sistemica invece considera queste 3 fasi operative alla luce di una Risoluzione che affronta lo sviluppo del terrorismo nel suo insieme. Va notato che anche le clausole del preambolo insistono sul legame con il terrorismo.

Inoltre, l’analisi sistemica dà origine a conclusioni opposte poiché si nota che al paragrafo 17 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite fa riferimento alla Risoluzione 1483 (2003) che non stabilisce alcun legame esplicito con il terrorismo.

In definitiva, la Risoluzione 1483 funge da guida per l’interpretazione del divieto di commercio di beni culturali definito nella Risoluzione 2199.

Tuttavia, è l’interpretazione teleologica che consente di sapere se questo divieto si applica ai beni culturali in generale o a quelli legati al terrorismo: il paragrafo 17 della Risoluzione 2199 menziona il divieto di commercio di beni culturali iracheni, come disposto al paragrafo 7 della Risoluzione 1483. Colà non si fa riferimento ad alcun legame con il terrorismo. Gli sforzi che formano una risoluzione (in termini di esportazioni di petrolio, traffico di beni culturali e obiettivi umanitari) mirano a indebolire i gruppi terroristici. D’altro canto, le disposizioni relative al patrimonio culturale mirano anche a proteggerlo, indipendentemente dal resto. In ogni caso, leggendolo in relazione alla Risoluzione 1483, si può affermare che questa nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite faccia assoluto divieto del commercio di beni culturali provenienti dall’Iraq e dalla Siria.

Sforzi congiunti: il ruolo dell’UNESCO nell’attuazione della Risoluzione

Più ampio sarà il campo di applicazione materiale della risoluzione meno necessaria sarà la dimostrazione di un legame tra finanziamento del terrorismo e modalità di uscita di ciascun oggetto dal paese e più facile sarà l’attuazione della risoluzione. Nel corso dell’estate 2015, alla pari dei paesi che hanno dovuto riferire in merito alle contromisure adottate in conformità al paragrafo 29 della Risoluzione 2199 (modifiche legislative e cooperazione giudiziaria per prevenire e contrastare tutte le forme di commercio di beni culturali ed i conseguenti reati commessi dai gruppi criminali organizzati o terroristi, collaborazione attiva nelle indagini, rimpatrio e restituzione, procedimenti giudiziari attraverso canali adeguati e in conformità con i quadri giuridici nazionali, regionali e internazionali ecc.), l’UNESCO ha scritto un proprio rapporto sulle attività svolte durante questo periodo. Tra le più importanti vi sono una serie di misure di emergenza applicate in Siria e in Iraq.

Ancor prima dell’approvazione di questa risoluzione, ma soprattutto dal 2014 in poi, l’UNESCO ha posto la lotta contro il traffico illecito di beni culturali tra le priorità della propria agenda politica riguardante la cultura dell’Europa sud-orientale (SEE). Attualmente, dal 2006, l’Ufficio Regionale dell’UNESCO per la Scienza e la Cultura in Europa (Venezia) è attivo nella discussione, promozione e sostegno alla cooperazione territoriale in questo ambito. I risultati e le raccomandazioni degli incontri iniziali hanno richiesto una maggiore sensibilizzazione e lo sviluppo di capacità sia a livello nazionale che regionale nei paesi SEE, con particolare attenzione al coordinamento degli attori istituzionali tra cui le forze di polizia, i ministeri della cultura, le agenzie doganali e gli organi giudiziari, in linea con l’azione dell’UNESCO in questo campo.

Sulla base di questi principi, l’UNESCO, attraverso questo Ufficio territoriale, ha sviluppato un programma di attività che comprende una serie di seminari, in collaborazione con i Carabinieri Italiani – Dipartimento per la protezione del patrimonio culturale. La loro attività è finalizzata a sviluppare le capacità delle istituzioni e del personale delle forze di polizia, dei ministeri della cultura, delle agenzie doganali e della magistratura dei diversi paesi, nonché a rafforzare la cooperazione inter-istituzionale e internazionale anche attraverso l’attuazione delle norme internazionali (Convenzione dell’UNESCO del 1970 e convenzione UNIDROIT del 1995), strumenti e best practices. Dei seminari hanno beneficiato l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (2014); l’Albania (2015); la Bosnia ed Erzegovina (2016); il Montenegro e la Serbia (2017), la Repubblica di Moldavia e la Romania (2018).

Anche se tutti i paesi del territorio hanno ratificato la Convenzione UNESCO del 1970 e 7 paesi sono parte della Convenzione UNIDROIT del 1995, molti siti archeologici (inclusi i siti sottomarini) e pure collezioni pubbliche e private, musei, gallerie o luoghi di culto, continuano a essere esposti al furto e al commercio illecito. Mobilitare l’opinione pubblica, educare, condividere informazioni e buone pratiche attraverso la cooperazione territoriale e internazionale è ancora oggi un’esigenza urgente. Nel 2011 l’Ufficio Territoriale dell’UNESCO ha realizzato un video di 15 minuti nel tentativo di sensibilizzare alla lotta contro il traffico illecito di beni culturali. Realizzato in stretta collaborazione con i ministeri della cultura e le commissioni nazionali dei paesi SEE, il video è accessibile sul canale YouTube in 9 lingue del territorio.

L’UNESCO assiste anche gli Stati membri fornendo loro assistenza tecnica e operativa per l’efficace attuazione della Risoluzione 2199. Per dare una panoramica delle misure adottate, le relazioni mostrano che gli Stati membri stanno seguendo le linee generali delle misure e raccomandazioni proposte dal Team delle Nazioni Unite per il Monitoraggio delle Sanzioni. È importante tuttavia notare che, in tutti i loro report, la maggior parte degli Stati membri fa riferimento alle leggi nazionali già esistenti anziché presentare le nuove norme adottate per attuare il mandato della Risoluzione 2199. Gli Stati invece dovrebbero sì continuare ad applicare la loro normativa antiterrorismo alle attività che riguardano i beni culturali ma anche rivederla per includervi il concetto di finanziamento da parte del traffico illecito di beni culturali.

Prospettive

È chiaro che è necessario un monitoraggio più coerente del legame tra traffico illecito di beni culturali e criminalità organizzata. Ciò comporta la condivisione di informazioni tra tutte le parti interessate: forze dell’ordine, paesi di origine, di transito e di destinazione, attori del mercato dell’arte e istituzioni internazionali.

La strategia essenziale, l’unica che garantirà un successo duraturo, è quella volta a sensibilizzare gli acquirenti finali a reprimere la domanda. Solo quando tutti gli acquirenti e venditori rispetteranno le linee guida e gli standard internazionali si potrà collettivamente porre fine a questo commercio senza scrupoli. Questo approccio è senza dubbio più produttivo della mera condanna dei gruppi terroristici per i loro massacri e per il danno causato al patrimonio culturale.

Il segreto per un’efficace regolamentazione del mercato dell’arte sta nella redazione di inventari, nell’utilizzo di un’adeguata diligenza, nella ricerca dell’effettiva provenienza e nell’utilizzo di certificati di esportazione e persino di importazione.

Questi misure essenziali compaiono nelle convenzioni internazionali, in particolare in quella dell’UNESCO del 1970 e nella convenzione UNIDROIT del 1995, e sono ribaditi dalla Convenzione del Consiglio d’Europa del 2017 sui reati relativi ai beni culturali (Convenzione di Nicosia). Con la caduta della domanda, il patrimonio culturale sarà meno sfruttato come risorsa per saccheggiatori e reti criminali. Per utilizzare un linguaggio più specificatamente normativo, i giudici e i pubblici ufficiali dovrebbe ampliare il loro campo d’azione, utilizzando non solo le norme in materia di patrimonio, ma anche le leggi antiterrorismo e la normativa penale.

Al momento, mentre assistiamo all’attuazione di un approccio più globale, al coinvolgimento di più attori e alla presa di consapevolezza del pubblico, possiamo chiederci come razionalizzare il lavoro dell’UNESCO su questo tema. Dobbiamo sforzarci di creare modelli duraturi di protezione, prima e dopo i conflitti, una migliore regolamentazione del commercio dell’arte e risoluzioni tematiche del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al fine di consolidare standard universali simili a quelli che i governi hanno adottato in altri settori importanti, come la protezione di specie animali e vegetali (Convenzione di Washington nota come CITES, 2000). Solo a questa condizione possiamo adempiere al nostro mandato. Molto lavoro resta da fare e l’UNESCO continuerà a guidare la comunità internazionale nella lotta contro il traffico illecito di beni culturali e la conservazione dell’identità dei popoli.