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Al termine di una negoziazione ad oltranza, l’accordo sul Recovery Fund è stato raggiunto all’alba del 21 luglio. Sorvoliamo sulle letture politiche e sul dibattito, per alcuni versi sterile, su “chi abbia vinto” fra Paesi c.d. “frugali” e Europa del Sud. Ci soffermiamo invece sulle ricadute economico-finanziarie di questo Piano e sugli effetti che potrà avere sulle principali asset class. La domanda preliminare che dobbiamo porci è se il Recovery Fund avrà impatto sulla crescita. Molto dipenderà dalla reale implementazione nei diversi Paesi, soggetta ad alcuni passaggi istituzionali, ma possiamo già dire che la dotazione di 750 miliardi lo rende un fattore difficilmente trascurabile per il PIL dell’Unione. Se facciamo riferimento al caso italiano, gli 80 miliardi a fondo perduto corrispondono al 5% del Prodotto Nazionale, cui si aggiungono 130 miliardi in potenziali prestiti. L’attenzione degli investitori è quindi giustificata. Inoltre, i mercati non sembrano soffermarsi solo sull’entità del Piano, né sulla sua tempistica (effetti non prima del prossimo anno), quanto più sul valore segnaletico di un’Unione che vara un grande programma orientato agli investimenti, con un accento su politiche ambientali e transizione digitale.

Fra i beneficiari c’è naturalmente l’azionario europeo: questo intervento, assieme al supporto della BCE, crea un quadro positivo per l’area, che dovrebbe favorire il ritorno d’interesse e flussi da parte degli investitori internazionali. Questo è ancor più vero se si considera la natura ciclica degli indici continentali, che costituiscono già di per sé un investimento sulla ripresa globale. Fra i comparti favoriti c’è anche il settore finanziario, in particolare quello dell’Europa meridionale, le cui valutazioni scontano oggi i molti rischi di deterioramento delle economie locali. L’unico caveat a questo proposito riguarda il fatto che l’irripidimento delle curve obbligazionarie, altro fattore di supporto del comparto, è al momento limitato dall’assenza di inflazione e dalle sue deboli prospettive. Anche il BTP potrà avvantaggiarsi di questo nuovo scenario: oltre alla percezione minore del rischio Paese, il Recovery Fund altera ulteriormente le dinamiche di domanda/offerta, già influenzate dagli acquisti BCE, creando i presupposti per un minore ricorso al mercato da parte del Tesoro.

Per quanto riguarda l’euro/dollaro, come detto di recente anche nel nostro appuntamento video settimanale (Whats’up GAM), almeno nel breve periodo potrebbe uscire dal box 1,05-1,16 nel quale è rimasto compreso negli ultimi due anni: il dollaro, pur sopravvalutato a livello fondamentale, in questi anni ha tratto forza dalla propria natura di valuta rifugio. Una maggiore propensione al rischio e i flussi d’investimento internazionali potrebbero spingere l’euro ad apprezzarsi ulteriormente nei prossimi mesi. Infine, spendiamo qualche parola sull’oro. È sempre più chiaro che la strategia di uscita dalla crisi attuale si fonda su interventi straordinari di Banche Centrali e governi, dunque tassi bassi e sovrabbondanza di liquidità. Tutti questi fattori, complice anche la debolezza del dollaro, dovrebbero continuare a sostenere l’oro, almeno fino a quando non vi sarà un’attenuazione di tali misure.