Italia: PMI e produttività

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Vorrei ritornare brevemente sul tema della crescita potenziale del nostro paese.

La prima riflessione riguarda la produttività. Come sappiamo dal lavoro di Bob Solow – premio Nobel nel 1987 per l’analisi della crescita economica – il fattore determinante per la crescita di lungo periodo non è un fattore di produzione classico (e.g. lavoro o capitale), ma la tecnologia. Senza innovazione tecnologica, non c’è crescita nel lungo periodo. Senza investimenti in ricerca e sviluppo, non c’è innovazione tecnologica. «As simple as that», si dice a Londra. La tecnologia si misura con la cosiddetta “total factor productivity”, parametro su cui siamo nettamente in ritardo rispetto ai competitor storici. Negli ultimi 20 anni, l’Italia ha perso 12 punti percentuali, mentre la Germania ha guadagnato 9 punti. Se mi consentite un commento malizioso, il bonus per i monopattini elettrici non aumenta la produttività.

La mia seconda riflessione riguarda l’assetto industriale Italiano. Le statistiche fornite dalla Commissione Europea evidenziano come in Italia operino 3,68 milioni di aziende, di cui il 99,9% con meno di 250 impiegati. In termini di forza lavoro, queste piccole/medie imprese danno lavoro al 79% di tutti gli impiegati nel mondo privato. Un veloce raffronto con i nostri competitor nel mercato interno evidenzia l’importanza del modello PMI italiano: La percentuale di impiegati nelle PMI tedesche è del 63%, in quelle francesi di appena 61%. Perché cito questi numeri? Evidentemente, il modello industriale Italiano, focalizzato sulle PMI ad alta intensità di capitale umano, non è adatto a competere con un gigante come la Cina. Altrettanto evidentemente, il modello tedesco e francese, più bilanciato tra PMI e grande impresa, si sposa meglio con un mondo globalizzato.

Concludo con un commento che potrebbe apparire ovvio al lettore: In assenza di riforme strutturali e di investimenti in ricerca e sviluppo, l’unico vantaggio competitivo dell’Italia rimane il turismo, certamente un asset non scambiabile, ma che appunto per questa inflessibilità rischia di essere un ulteriore peso in una situazione di immobilità internazionale come quella che stiamo vivendo.