Post Covid-19, l’UE riparte di slancio con l’economia circolare

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Se diamo uno sguardo alla composizione dell’economia globale, troviamo due principi fondamentali: da un lato, l’economia lineare, nella quale le risorse fluiscono in maniera lineare dall’estrazione per finire in rifiuti e discariche; dall’altro, l’economia circolare, che mira a modificare questo flusso lineare di risorse in un flusso circolare e guarda ai rifiuti in modo diverso cercando di riutilizzarli. Il modello di riferimento è la capacità rigenerativa della natura, in cui gli scarti in eccesso e le risorse vengono assorbiti durante il processo di decomposizione.

Attualmente consumiamo 100 giga tonnellate di risorse ogni anno e solo il 9% è realmente coinvolto in un qualche processo circolare. Dunque siamo praticamente all’inizio di questo viaggio. Osservando i “prodotti lineari”, si capisce subito che il modello attuale non è sostenibile. Anche osservando il tempo di utilizzo e il tempo di decomposizione del materiale nell’ambiente si nota un forte disallineamento. Circa il 95% della plastica viene utilizzata una sola volta e servono secoli affinché si decomponga – fino a 460 anni per le bottiglie di plastica, per esempio. E ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono nell’oceano, il che equivale a un camion carico di plastica che scarica in mare al minuto.

Tuttavia, quello che stiamo vedendo in termini di sviluppo normativo è molto promettente. È in atto un’evoluzione da una cultura caratterizzata da quadri e politiche distinti a qualcosa di molto più sofisticato ed olistico. Un buon caso è quello dell’Unione Europea, dove lo scorso marzo è stato pubblicato il nuovo Piano d’azione per l’economia circolare. È un ottimo esempio del fatto che l’UE sta facendo leva su idee – come il “diritto alla riparazione”, che è un principio prettamente di economia circolare – per rendere più facile per i consumatori scegliere prodotti che siano durevoli, abbiano un ciclo di vita più lungo, e che in primo luogo non producano rifiuti.

Inoltre, la tassonomia finanziaria sostenibile dell’UE sarà effettivamente in vigore entro la fine del 2021. Questa sarà la cornice di riferimento per classificare gli investimenti sostenibili e avrà anche la funzione di mostrare in che direzione ci stiamo muovendo, perché richiede alle aziende maggiore dettaglio e precisione in sede di reporting dei risultati e sull’esposizione dei prodotti.

Inoltre, il 25% dei 750 miliardi del Recovery Fund è destinato alle spese legate al cambiamento climatico. Dal punto di vista dei consumatori, pensiamo che un’accelerazione sia possibile perché durante questa fase di distanziamento sociale abbiamo tutti imparato in modo inedito come utilizzare la tecnologia anche per sostituire alcuni modelli di business utilizzati in passato, con incontri virtuali, la scelta di lezioni di fitness online invece di recarsi in palestra, la sostituzione di alcune attività dei viaggi d’affari. Non ci aspettiamo una totale conversione delle abitudini, ma siamo a un punto in cui alcune figure apicali iniziano a ripensare il modo in cui sono state organizzate le aziende nel recente passato.

Durante questa crisi, l’interruzione della supply chain è stato uno degli argomenti più dibattuti. Ha avuto origine in Cina: le aziende erano più preoccupate sul fronte della produzione, mentre in seguito c’è stato maggiore timore sul lato della domanda. Ora, molte realtà stanno discutendo sulla necessità di rimpatriare gradualmente alcune sezioni della propria supply chain che erano state esternalizzate, e questa crisi ha aumentato la consapevolezza nel considerare il tema degli sprechi, e su come ottenere una migliore ottimizzazione per l’inventario e il magazzino, che è un altro fattore determinante.

Certamente in alcuni settori ci sono serie difficoltà e alcune aziende necessitano di aiuti per sopravvivere, ma a medio termine crediamo che questa visione possa essere usata come un’opportunità per ricostruire. Infatti, il settore del packaging era già orientato verso il cambiamento e questa crisi ha rimandato il processo, tuttavia la convinzione è quella di ripartire con ancora più vigore.

Guardando al processo che sta portando le aziende verso una maggiore circolarità, non si tratta solo di questioni di prezzo o di essere sostenibili, più spesso si tratta di cultura. In molti settori non è chiaro che l’economia circolare non è necessariamente una questione di costi più alti, ma anche di costi più bassi. Ad esempio, la manutenzione predittiva, che ci permette di utilizzare i prodotti meglio e più a lungo, aiuta a ridurre i costi. In altri settori, spesso è solo questione di rimanere in attività perché ci sono soluzioni legate all’economia circolare, che sostituiranno i modelli di business lineari. Il packaging di consumo è certamente un solido esempio; l’attività legata ai viaggi non è tradizionalmente stata considerata in questo senso, ma dopo questa crisi potremmo anche affermare che forse le soluzioni di collaborazione digitale sono più circolari rispetto ad altre opzioni.

In termini di opportunità per gli investitori, possiamo distinguere quattro aree più ampie. Le opportunità globali sono stimate pari a 4.500 miliardi di euro fino al 2030. A livello UE, si tratta comunque di 2.000 miliardi di euro. Una parte consistente di queste opportunità è legata alle idee a favore di una riduzione dello spreco di risorse e ad un aumento dell’attività di riciclaggio; quindi, si fa strada la questione del recupero del valore intrinseco dei prodotti invece di optare per il loro smantellamento – c’è una ricchezza di valore in ogni prodotto che è molto superiore rispetto al valore della materia prima necessaria per la sua produzione. In terzo luogo, ci sarebbe il tema dello spreco nel ciclo di vita dei prodotti che le aziende possono sfruttare per implementare versioni che abbiano una maggiore durata. Infine, c’è la questione delle capacità sprecate, come si vede applicato nella sharing economy.

Tuttavia, ciò che le giovani generazioni chiedono lascia ben sperare, in quanto c’è una forte spinta da parte dei consumatori per il cambiamento di prodotti e servizi e la richiesta riguarda prodotti più sostenibili. In questo senso, il ruolo dei social media può contribuire ad amplificare il cambiamento. Finalmente, c’è una buona probabilità che saremo in grado di sfruttare la tecnologia disponibile a nostro vantaggio e vedere il valore nei prodotti che oggi vengono semplicemente sprecati.