Impact investing a rischio strumentalizzazione

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Deboli standard di misurazione e una reportistica di scarsa qualità rischiano di penalizzare l’intero sviluppo dell’impact investing, lasciando gli investitori disincantati di fronte alle affermazioni eccessivamente entusiaste degli asset manager.

Il concetto stesso di “impact investing” si basa sul principio secondo cui gli investitori possono perseguire un ritorno finanziario riuscendo ad avere al contempo un impatto sociale e ambientale positivo e misurabile. Se da un lato si tratta di un campo entusiasmante, dall’altro la ricerca di molti gestori di far leva su questo aspetto solamente per ottenere un vantaggio competitivo sui rivali rischia di metterne in secondo piano lo scopo principale.

Una visione molto cinica del contesto attuale affermerebbe che il nuovo trend di investimento “di impatto” sia solo un atto di offuscamento e un tentativo di differenziazione in un segmento ESG sempre più gremito. Se l’impact investing di per sé è un obiettivo rispettabile, è pur vero che al momento non vengono utilizzate tecniche di misurazione o reportistica che siano all’altezza e questo non risolve il dubbio degli investitori che si chiedono se effettivamente si stiano producendo effetti positivi per la società e l’ambiente.

Questa sorta di nebbia, poi, non sembra essere una questione prioritaria per il settore privato. In contrasto con la mia esperienza presso il dipartimento di sviluppo della Commissione Europea, dove raggiungere un consenso su un quadro di misurazione è stato “estenuante”, lo sforzo nel quantificare e dimostrare l’impatto effettivo tra il crescente corpo di investitori che si dichiarano attivi in quest’ambito sembra limitato.

Con l’aumentare della consapevolezza degli investitori in tema di investimenti sostenibili o “green” e con il lavoro delle autorità di regolamentazione verso il miglioramento di standard e dati, sembra che alcuni gestori patrimoniali siano alla ricerca di un terreno di frontiera, dove sia possibile differenziarsi rivendicando un impatto positivo senza preoccuparsi troppo delle prove a sostegno di tali affermazioni. Si leggono molti rapporti cosiddetti “di impatto” che non dimostrano un reale e misurabile effetto – a volte sono solo il rapporto di sostenibilità dell’anno precedente rietichettato con la nuova parola d’ordine.

Nonostante queste preoccupazioni, crediamo che ci sia un valore nell’impact investing e che presto l’industria sarà portata a concentrarsi sul quantificare e dimostrare il proprio contributo a un futuro più sostenibile. La chiave, a nostro parere, è avere sempre delle aspettative ragionevoli. Gli investitori possono sicuramente giocare un ruolo importante nell’affrontare le sfide della sostenibilità, ma non si possiedono proiettili d’argento ed è per questo che si dovrebbe diffidare di report eccessivamente positivi.

L’impact investing si muove in un bilanciamento tra potenzialità e certezza. Ad un capo dello spettro di opzioni si trovano investimenti nel debito e private equity, in grado di fornire una fiducia quasi totale sull’utilizzo dei proventi dato che le metriche di impatto e la rendicontazione possono essere concordate in anticipo come parte degli accordi di investimento. I rapporti sull’impatto delle istituzioni finanziarie per lo sviluppo dimostrano come dovrebbero apparire una buona misurazione dell’impatto e un buon reporting.

Proseguendo si trovano poi obbligazioni sociali e green, anch’esse dettagliate nelle informazioni di impiego dei fondi. All’altro estremo della scala, invece, si collocano gli investimenti effettuati attraverso i mercati pubblici che utilizzano uno screening negativo o positivo. Essi hanno un impatto più marginale e meno certo, misurabile e attribuibile, ma possono comunque dare un contributo positivo nel tempo, soprattutto se raggiungono dimensioni elevate e in combinazione con un impegno mirato.