Inflazione verso il 3% negli Usa. Più bassa in Europa causa apprezzamento dell’euro

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Nei prossimi mesi le pressioni inflazionistiche potrebbero aumentare significativamente e riteniamo realistico un aumento dei prezzi al consumo del 3% circa nel breve termine, almeno negli Usa. In Europa, l’apprezzamento dell’euro sul dollaro favorirà l’importazione di beni a basso costo, pertanto l’aumento sarà decisamente più moderato.

Nel breve periodo diversi segnali sembrano preannunciare un aumento dei prezzi al consumo. Innanzitutto il prezzo del petrolio, che a marzo e aprile 2020 è sceso a minimi mai raggiunti prima. Da allora ha recuperato quota, ma il tasso d’inflazione è calcolato come variazione percentuale dei prezzi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quindi il semplice dato matematico eserciterà notevoli pressioni inflazionistiche. Poi, a metà dello scorso anno, molti paesi hanno ridotto l’Iva per dare impulso ai consumi, ma con il ritorno alle precedenti aliquote avvenuto a inizio d’anno i prezzi al consumo sono destinati a risalire. Terzo punto, la tassazione delle emissioni di Co2: a partire dal 2021 a produttori e distributori di beni e servizi si applica un’imposta di 25 euro per ogni tonnellata di biossido di carbonio prodotta tramite la combustione di diesel, benzina, gasolio e gas naturale. La trasmissione di questi costi aggiuntivi agli acquirenti renderebbe più costosi beni e servizi nocivi per il clima, facendo salire i prezzi. Infine, il graduale aumento del salario minimo legale nel breve termine eserciterà un impatto positivo sull’andamento dell’inflazione.

A questi fattori si aggiunge la spinta generata dall’orientamento espansivo della politica fiscale e monetaria. Solo negli Usa, da marzo a novembre 2020 la riserva monetaria è aumentata del 25%. A ciò si aggiungono stimoli provenienti dalla politica fiscale di entità senza precedenti, il nuovo pacchetto di aiuti da 1.900 miliardi di dollari promesso dal presidente Joe Biden e l’innalzamento da 600 a 2 mila dollari degli aiuti finanziari diretti a milioni di cittadini statunitensi.

Finora l’impatto sui prezzi di queste manovre è stato contenuto, perché l’inflazione non dipende soltanto dalla massa monetaria, ma anche dalla rapidità di circolazione del denaro, ovvero dalla frequenza con cui la moneta viene utilizzata per acquistare beni e servizi, e anche grazie a una serie di trend strutturali, come il rallentamento dei rincari sugli affitti, causa pandemia e smartworking,  e il cambiamento demografico. Un tipico esempio al riguardo è rappresentato dal Giappone, da anni alle prese con tassi di natalità in calo e con l’invecchiamento della popolazione: poiché la popolazione in età lavorativa è determinante ai fini della crescita del prodotto interno lordo, le aziende riducono i costi e tagliano i salari per sostenere la domanda di beni e servizi, con effetti deflazionistici.

Questi fenomeni proseguiranno, anche perché l’economia si sta riprendendo con lentezza, tuttavia mei prossimi mesi le pressioni inflazionistiche potrebbero aumentare significativamente, soprattutto negli Usa.