Azioni e reazioni

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Nel primo pomeriggio del 18 marzo, “day after” della riunione della Fed, il rendimento del decennale statunitense ha toccato un livello di 1,75%. I mercati, che avevano iniziato la giornata 10 punti base più in basso, hanno mostrato così di non assegnare troppo peso alle dichiarazioni di Powell su un’inflazione “facilmente gestibile e non duratura”. Nei giorni seguenti qualcosa è però cambiato. Il granello di sabbia nell’ingranaggio si è materializzato sotto forma di dati sul lavoro ancora sonnecchianti, compravendite immobiliari deludenti e notizie contraddittorie sul fronte vaccinale. E’ bene precisare che questo ritracciamento ha per ora una natura tecnicamente fisiologica. Al di là delle tendenze di breve periodo, quel che ci preme maggiormente sottolineare è come in questo momento la valutazione dei diversi mercati dipenda essenzialmente da quest’unico parametro, con evidenti conseguenze sulla correlazione fra asset class. Ciò è stato evidente nella fase di salita, con il “reflationary trade” all’opera: rotazione dal segmento quality growth a quello value nell’azionario, prezzi delle materie prime in forte ascesa e apprezzamento delle valute procicliche; ne abbiamo ricevuto conferma anche nella fase di discesa del rendimento decennale, con la contro-rotazione azionaria da value a growth, la correzione di valute e commodities sopra ricordate, il rimbalzo dell’oro. Come argomentato più volte nelle ultime settimane, siamo nel “punto di massima sensibilità” dei mercati rispetto a modifiche al quadro monetario della prima economia globale. Il contesto è molto fluido: l’evoluzione dell’inflazione detterà i tempi del movimento di Treasury e, a cascata, di tutte le altre asset class.

Per adesso la Fed ostenta tranquillità, anche se al proprio interno le posizioni appaiono più sfumate, come dimostrato dalla recente dichiarazione di Kaplan (Fed Dallas) sulla possibilità di un primo rialzo nel 2022. Certamente “l’elefante nella stanza” è costituito dalle politiche fiscali statunitensi, sia quelle già varate (i 900 miliardi di Trump e i 2.800 di Biden), sia la nuova in arrivo (3.000 miliardi?). Il grande piano infrastrutturale andrà studiato attentamente, perché avrà un ruolo negli sviluppi di mercato dei prossimi mesi. In primo luogo, è molto probabile un impatto sull’inflazione, o quanto meno nella formazione delle aspettative. Inoltre, il piano avrà chiari beneficiari, da ricercare nella componente value azionaria, nel comparto delle energie rinnovabili e nelle small cap. Riteniamo tuttavia che un pacchetto fiscale di questa portata avvantaggerà, quanto meno indirettamente, l’intero listino, compreso il comparto growth. E’ vero che per i titoli che scontano un’alta crescita futura è lecito attendersi, in corrispondenza di tassi più alti, un rapporto prezzo/utili inferiore; d’altra parte gli utili, denominatore di questo indicatore, sono destinati a proseguire nella propria crescita strutturale, prevista in doppia cifra sia per quest’anno, sia per l’anno prossimo. Confermiamo quindi l’utilità di un posizionamento bilanciato, senza inseguire tendenze di breve. Al contrario, la volatilità che inevitabilmente ci accompagnerà nei prossimi mesi, in corrispondenza di modifica delle attese monetarie, potrà essere sfruttata per cercare punti d’ingresso più vantaggiosi sui vari segmenti del mercato.