La “prosperità comune” in Cina

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Dopo un 2020 in forte crescita, quest’anno la Cina continua a pesare sulla performance dei mercati emergenti, vista la sua economia in rallentamento e un aumento nelle normative, specialmente riguardanti il mercato dell’internet.

Questo mese, inoltre, il presidente Xi ha ribadito la necessità di creare una società con maggiore “prosperità comune”, cosa che probabilmente ha contribuito a questo sentiment negativo. È un termine che viene sempre più enfatizzato, dovuto all’opinione del governo che la società in Cina stia diventando più e più ineguale. Il 10% della popolazione cinese più ricca possiede il 60% della ricchezza, il che è relativamente diverso se confrontato a molte altre grandi economie, sebbene la disuguaglianza sia più grande in Paesi come gli USA, per esempio. Nonostante ciò, la Cina ha chiaramente una tolleranza minore per questo tipo di disuguaglianza.

Come cerca dunque la Cina di raggiungere questa “prosperità comune”? È un termine relativamente ambiguo, e alcuni temono che possa significare un ritorno al passato comunista, o una redistribuzione delle ricchezze “stile Robin Hood”. In realtà, pensiamo voglia dire che verrà posta maggiore enfasi sulla creazione di reddito e di ricchezza, piuttosto che sulla redistribuzione.

Il governo si è posto l’obiettivo di raddoppiare il PIL dal 2020 al 2035, con una crescita annuale del 5% in un orizzonte di 15 anni, il che non è un compito facile. I business privati contribuiscono per più del 50% delle entrate fiscali, per il 60% del PIL, per il 70% dell’innovazione e per l’80% dei posti di lavoro. In parole povere, significa che la Cina non può crescere, né godere della prosperità, senza un settore privato forte e dinamico – in altre parole, non ci aspettiamo che la Cina uccida la gallina dalle uova d’oro.

Sebbene non vi sia ancora una regolamentazione specifica e dettagliata a livello nazionale, a giugno il governo ha deciso di attuare per la prima volta delle politiche di prosperità comune a Zhejiang, la terza provincia più ricca della Cina. A Zhejiang risiedono alcune delle aziende private cinesi più di successo, ed è un case study interessante per vedere come il governo cercherà di affrontare la disuguaglianza e trattare il settore privato.

Per questo progetto pilota sono stati posti diversi obiettivi, come l’aumento dei salari come percentuale del PIL di Zhejiang e la riduzione del gap di retribuzione tra città e campagna. Vi sono però altri punti fondamentali, come incrementare il numero di business privati registrati, aumentare le iscrizioni all’università e migliorare l’accesso a una buona sanità. Perciò si tratta per lo più di incoraggiare gli abitanti delle campagne ad avviare attività proprie e di investire maggiormente sul settore privato, aiutato da una spesa sull’infrastruttura, sull’educazione e sulla salute proveniente dall’alto, da un governo che ha la capacità fiscale per sostenerla. Non è in programma una redistribuzione radicale di ricchezza o un qualche tipo di stato di welfare basato su tasse più alte. Il piano prevede che gli imprenditori abbienti e i business donino alla società una maggior parte della loro ricchezza, e recentemente abbiamo visto alcune di queste società rispondere a tali appelli.

Per concludere, sebbene le notizie politiche provenienti dalla Cina a volte appaiano non dare tregua, crediamo che, una volta che la regolamentazione si sarà messa al passo con gli standard normativi internazionali, il settore privato in Cina continuerà a prosperare e a beneficiare della grande opportunità di crescita che vi è di fronte.