Un grande accordo fiscale mondiale

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Il 1° luglio, 131 stati, che rappresentano il 90% del PIL globale, hanno approvato il piano dell’OCSE per la riforma delle norme fiscali internazionali. Un evento di portata storica che, oltre a rimpinguare le casse statali prosciugate dalla crisi di coronavirus, renderà anche più stabile il sistema fiscale internazionale. Al contempo, aumenterà la sicurezza a livello di pianificazione per i contribuenti e l’amministrazione delle contribuzioni.

L’accordo prevede una procedura in due fasi:

  • Fase 1: le società multinazionali, comprese le società IT, pagano le proprie imposte nei mercati di vendita e non solo nei loro paesi di origine. Per il momento sono interessati gli utili delle imprese con un fatturato superiore a 23,6 miliardi di USD, il cui utile ammonta a più del 10% del fatturato. Sono esclusi il settore finanziario e quello delle materie prime. Dal punto di vista tecnico, ma soprattutto politico, la discussione su questo accordo è complicata. Perché se ci sono degli Stati che vincono, ce ne sono degli altri che perdono: è prevista infatti una riallocazione di 100 miliardi di USD.
  • La Fase 2 prevede l’applicazione di un’imposta minima del 15%, tuttavia solo alle aziende con più di 885 milioni di USD di fatturato. La base imponibile non è ancora stata definita in modo chiaro; tuttavia, questo accordo politico sarà più semplice rispetto al consenso sulla Fase 1. È previsto un gettito fiscale supplementare di circa 150 miliardi di USD all’anno.

Il piano di implementazione definitivo dovrebbe essere pronto in ottobre ed essere attuato/effettivo nel 2022/23. Oltre ai paesi BRICS, hanno aderito al piano OCSE anche i Paesi a bassa imposizione fiscale come Svizzera, Lussemburgo o Singapore. Non sono presenti otto Paesi dell’OCSE, tra cui Irlanda, Ungheria ed Estonia.

È un bene, o i problemi esistenti rimangono?

È positivo che il piano OCSE affronti il “problema” più grave della tassazione internazionale. Finora, sono state le aziende con un’elevata percentuale di servizi immateriali e proprietà intellettuale a sfruttare in modo particolare i vantaggi fiscali. Apple, ad esempio, ha registrato in Irlanda gli utili conseguiti in Europa e ha utilizzato un’altra scappatoia fiscale per evitare gran parte della già molto bassa aliquota fiscale del 12,5%. Si stima che il 40% degli investimenti diretti esteri globali avvenga per ridurre le tasse, e non per trarre vantaggi economici comparativi di altri paesi. A seguito della concorrenza fiscale internazionale, le aliquote d’imposta per le imprese sono diventate significativamente più basse nel corso degli ultimi 20 anni. In Svizzera si trovano tassi di imposta societari molto bassi, che vanno dall’11,91% del Canton Zugo  al 21,63% del Canton Berna.

Per la Svizzera è stato previsto che la fase 1 dell’attuazione possa costare un bel po’ di gettito fiscale. Nel frattempo la situazione si è rivelata essere non più così drammatica, poiché il numero delle imprese svizzere interessate è limitato, tra queste troviamo Nestlé, Novartis e Roche.

L’imposta minima è rilevante a livello di borsa?

Circa il 18% di tutte le società dell’MSCI World è soggetto a un’aliquota fiscale inferiore al 15% (Ø negli ultimi tre anni finanziari rendicontati per escludere oscillazioni a breve termine). Insieme rappresentano un peso nell’indice del 22,9 % (cfr. tabella seguente). Le basse aliquote d’imposta riguardano in particolare settori quali l’immobiliare e il finanziario, l’IT, la sanità e i beni di consumo. Se escludiamo i titoli finanziari, perché in parte dispongono di vantaggi fiscali (REIT) previsti dalla legge, si può affermare che i proventi influenzati negativamente dall’imposta minima sono nell’ordine di grandezza del 5% circa. Il rendimento complessivo del capitale (ROIC), che include gli utili di esercizio al netto delle imposte, si riduce, con un effetto tendenziale negativo sui corsi delle azioni (ceteris paribus).

Al momento, nei nostri fondi a gestione attiva non sono presenti “posizioni con imposizione più bassa”, come Carnival, Seagan o Blackberry. Grazie al nostro approccio di ricerca fondamentale e bottom-up, filtriamo per tempo i possibili problemi, anche per quanto riguarda l'”imposta minima”.

 

Società per settore nel MSCI World con un’aliquota fiscale inferiore al 15%

Settore Aliquota fiscale media (3 anni) Numero di aziende Peso totale nell’indice in %
Comunicazione 10.3% 10 3.45%
Beni di prima necessità 7.4% 28 3.62%
Beni voluttuari 11.7% 6 0.29%
Energia 11.5% 7 0.24%
Finanza 9.0% 36 1.80%
Salute 9.3% 35 4.43%
Industria 12.1% 28 1.22%
Informatica 9.4% 45 4.73%
Materiali 11.8% 10 0.28%
Immobiliare 3.4% 62 1.97%
Servizi di pubblica utilità 10.4% 16 0.84%
Totale 8.36% 283 22.88%
 Fonte: Global Industry Classification Standard (GICS)/Swisscanto Invest

 

Conclusione

  • Le finanze statali hanno urgente bisogno di sostegni a seguito degli stimoli del COVID. Ciò ha portato al consenso su un coordinamento fiscale a livello OCSE in merito alla tassazione minima da parte delle imprese.
  • Ora, con il 15%, tale imposta minima globale è ancora più bassa di quella di Biden e del 21% precedentemente promosso.
  • Dal punto di vista degli investitori, le imposte più elevate devono essere valutate generalmente in modo negativo a causa della compromissione della capacità di rendimento (ROIC) e della valutazione azionaria.
  • L’attenzione dell’imposta minima è rivolta alle società multinazionali a causa del trasferimento dei profitti nei paesi a bassa tassazione. La nostra ricerca ha individuato grandi differenze tra i singoli settori e anche all’interno di essi in termini di imposizione fiscale media. Le più colpite dalla nuova imposizione saranno le grandi aziende del settore IT e sanitario.
  • Poiché anche le singole aziende sono colpite in misura diversa all’interno dei settori, è estremamente importante analizzarle in modo approfondito nel contesto della imposta minima.