L’inflazione più elevata è qui per restare?

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“L’inflazione USA ai massimi degli ultimi 13 anni a luglio”; “La BoE segnala una ‘modesta stretta’ per controllare l’inflazione”; “Il governatore della banca centrale brasiliana si impegna a mitigare le aspettative di inflazione”; “L’inflazione è destinata a rimanere, dice il capo della banca centrale russa”. Questi sono alcuni dei titoli apparsi in agosto sul Financial Times. Più recentemente, i timori di stagflazione si sono intensificati in seguito ai forti aumenti dei prezzi dell’energia.

L’inflazione dell’era Covid è ancora un argomento caldo, mentre l’aumento dei prezzi in alcuni mercati spinge a discutere se questo si trasformerà in una tendenza più ampia e duratura.

Ritorno al “New Normal”

Il nostro strumento di previsione dell’inflazione ha assegnato una probabilità su tre a un caso base post-Covid, con bassa inflazione, che abbiamo soprannominato “Back to the New Normal”. In altre parole, una volta che la pandemia sarà alle nostre spalle, pensiamo che le tendenze a lungo termine che hanno caratterizzato l’economia globale nell’ultimo decennio – crescita lenta, inflazione modesta e bassi tassi d’interesse – si riaffermeranno.

Guardando infatti a tutti gli studi sui precedenti periodi di inflazione ci sono tre condizioni che devono essere soddisfatte prima che un’economia possa passare a un regime di inflazione più elevata. Queste sono:

  • L’economia deve essere caratterizzata da un periodo di eccesso di domanda sostenuto. Questo potrebbe derivare da una consistente e brusca riduzione della produzione, o da un consistente aumento della domanda. In entrambi i casi, la domanda di beni e servizi deve essere costantemente maggiore del potenziale produttivo dell’economia.
  • Deve esserci un disancoraggio delle aspettative di inflazione, in modo che le persone non respingano gli aumenti dei prezzi come temporanei, ma inizino a costruire un’inflazione permanentemente più elevata nel loro processo decisionale. Questo incorpora un ciclo di aumento dei prezzi.
  • Le banche centrali devono smettere di impostare la politica secondo il principio di Taylor. Il principio di Taylor richiede che una banca centrale, nel medio termine, aumenti i tassi di interesse nominali in misura maggiore di uno a uno in risposta a ogni aumento dell’inflazione. Questo garantisce che i tassi reali non diminuiscano in risposta a un aumento dell’inflazione (allentando ulteriormente le condizioni monetarie, portando probabilmente a un aumento dei prezzi ancora più rapido).

Finora, queste tre condizioni non si sono concretizzate.

Cosa vediamo

I prezzi dell’energia sono aumentati. Questo è stato determinato da una domanda eccezionalmente elevata a causa delle condizioni meteorologiche estreme e delle scarse scorte di gas naturale in vista dell’inverno. Osserviamo inoltre una maggiore domanda di “energia pulita” da parte delle nazioni che si sforzano di raggiungere gli obiettivi di emissioni nette zero, ma anche interruzioni nella fornitura di energia e difficoltà a passare a fonti energetiche alternative. I prezzi dell’energia dovrebbero quindi rimanere elevati durante i mesi invernali nell’emisfero settentrionale. Tuttavia, poiché la domanda di elettricità inizierà a diminuire il prossimo anno, i prezzi dell’energia probabilmente diminuiranno drasticamente. Non crediamo che le materie prime stiano entrando in un super ciclo di aumenti di prezzo sostenuti su vasta scala, ma piuttosto che stiano rispondendo a una serie di interruzioni della domanda e dell’offerta.

Certo, i salari negli Stati Uniti e altrove sono aumentati notevolmente tra i lavoratori meno qualificati – specialmente nel settore dell’hospitality. Ma altre misure, come il wage tracker della Federal Reserve Bank di Atlanta, mostrano che nel complesso la mediana della crescita dei salari non ha subito particolari cambiamenti. Crediamo, comunque, che le cause a breve termine dell’inflazione – carenze della catena di approvvigionamento e interruzioni delle consegne – saranno risolte a tempo debito.

Resta il rischio di un’inflazione più elevata

Il nostro strumento di previsione dell’inflazione ci mostra che il radicamento di un’inflazione più elevata, sebbene sia un rischio basso, rimane una possibilità. Inoltre, c’è un’ulteriore possibilità che l’inflazione fluttui intorno a un livello medio più basso nel lungo termine, una volta che avremo superato la pandemia.

Per esempio, fattori legati alla composizione dell’indice di inflazione, fenomeni stagionali e vari effetti di base hanno già spinto l’inflazione temporaneamente più in alto. Tuttavia, non abbiamo ancora le prove che l’inflazione più alta di oggi sia un’indicazione di un cambiamento più sostanziale nei fattori che guidano le economie globali.

In conclusione

La pandemia ha rafforzato i consueti fattori di stagnazione di lungo termine che hanno dominato l’economia globale a partire dalla crisi finanziaria globale. In particolare, ci aspettiamo che l’ampio gap in termini di output – ovvero la quantità di produzione economica inferiore al suo potenziale – che è stato alimentato dal Covid peserà sull’inflazione. Vari cambiamenti strutturali renderanno l’economia globale permanentemente più piccola di quanto sarebbe stata. E, semmai, la retorica delle banche centrali è stata coerente con un impegno più forte teso a controllare l’inflazione.