Direct indexing, la via alla (vera) democratizzazione degli investimenti

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Sempre più spesso, all’interno del mondo finanziario, si parla di direct indexing, ossia di quella modalità di replicare la performance di un indice acquistando direttamente le singole azioni sottostanti. Come spesso succede, l’Europa si trova circa un decennio indietro rispetto agli Stati Uniti e questo fronte non fa eccezione. Per quanto ci riguarda, abbiamo un’idea chiara del significato profondo di questo nuovo strumento: se tradizionalmente gli investimenti sono stati veicolati in formato top-down, ossia attraverso la decisione della banca o dell’asset manager su come strutturare un fondo che in seguito viene proposto al cliente, il direct indexing consente invece di intraprendere esattamente il percorso opposto.

Utilizzando una innovativa piattaforma tecnologica è infatti il cliente che va a costruire il proprio prodotto, modificando a piacimento le componenti dell’indice. Si tratta di un’innovazione importante, guardando ad esempio alla crescente sensibilità verso specifiche tematiche d’investimento, in particolare quelle legate ai fattori di sostenibilità economica, sociale e di governance (ESG): tramite il direct indexing, l’investitore può decidere quali società includere e quali escludere, per evitare quelle che non rispettano determinati parametri, ad esempio compagnie petrolifere o società che producono armi.

Descritto in questo modo, il direct indexing potrebbe essere ritenuto un modo molto costoso di operare, non a caso per ora è stato appannaggio soprattutto di investitori wealth. In realtà, grazie alle innovazioni tecnologiche, che permettono scambi di azioni o frazioni di azioni a zero costi, la possibilità di costruire un indice composto da vari titoli con un costo contenuto è più che a portata di mano.

Quello a cui noi puntiamo è un modello di direct indexing che può essere definito “attivo”. In sostanza, pensiamo a un gestore che, attraverso un certificato oppure direttamente in portafoglio, svolge la più classica delle attività di gestione patrimoniale. Il tutto però, attraverso uno strumento disegnato ad hoc per l’investitore che l’ha richiesto e senza dover passare da un fondo tradizionale, eliminando quindi uno strato di complessità e di costi.

Come detto all’inizio, in Europa il fenomeno è ancora agli albori, ancora più che negli USA. Ciò è legato anche al fatto che, rispetto agli Stati Uniti, nel Vecchio Continente gli ETF – che si possono definire i fratelli maggiori del direct indexing – rappresentano meno del 10% delle masse complessive, mentre al di là dell’oceano oltre la metà. Ecco perché prevediamo un’affermazione sui mercati europei di questa nuova e innovativa modalità di investimento non prima di 5-10 anni.

Un orizzonte temporale rispetto al quale puntiamo a farci trovare pronti: la nostra vocazione è sempre stata quella di sviluppare indici, siamo stati la settima società in assoluto a ottenere dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) la certificazione di benchmark administrator. Su questa base, siamo già attivi sul fronte B2B ma, per il 2022, abbiamo importanti prospettive anche sul fronte retail.