Volatilità: come affrontarla al meglio? Cosa insegna la pandemia ai risparmiatori

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I mesi di marzo e aprile 2020 resteranno a lungo impressi nella memoria collettiva. Lo scoppio della pandemia ha colto il mondo intero alla sprovvista: da quando il Covid è diventato un’emergenza globale nessuno sa come possa evolversi la crisi e quali possano essere esattamente le conseguenze di questa situazione dal punto di vista sanitario, economico e sociale.

Nel complesso, nel mese di marzo 2020, i mercati azionari hanno perso oltre il 30%, le volatilità implicite delle azioni (indice Vix) hanno raggiunto livelli record superiori addirittura ai livelli raggiunti nel 2008 e gli spread delle obbligazioni societarie a più alto rischio si sono notevolmente ampliati, a causa di una revisione al rialzo delle probabilità di default derivanti dalla sospensione dell’attività economica. Data la mancanza di domanda, la crisi ha colpito anche il prezzo del petrolio il cui future ha toccato il valore di -37 dollari al barile, un livelloritenuto impensabile in precedenza. Insomma, le settimane turbolente tra marzo e aprile 2020 rappresentano un momento storico per i mercati finanziari e la volatilità a cui abbiamo assistito rimarrà con ogni probabilità tra le più alte mai registrate. Quello che è successo nei mesi successivi è storia nota, l’economia globale ha dimostrato di essere più resiliente delle aspettative. Le politiche monetarie e fiscali messe in campo da banche centrali e governi hanno permesso al sistema finanziario di rimettersi in moto e i mercati hanno intrapreso una graduale risalita che si è poi tramutata nell’importante espansione cui abbiamo assistito fino ad oggi.

Come si affrontano le fasi di volatilità sui mercati?

Lo scoppio dell’epidemia e i 18 mesi trascorsi da allora possono offrire interessanti spunti di riflessione per comprendere come gestire al meglio le fasi di volatilità, anche quelle meno estreme che periodicamente ogni investitore si trova ad affrontare.

Quando l’incertezza cresce sui mercati, di norma l’investitore adotta uno di questi tre comportamenti: resta investito, rimanendo fedele al proprio piano di investimento e magari continuando ad investire nuova liquidità anche attraverso versamenti ricorrenti (per esempio attraverso un PAC, Piano di Accumulo di Capitale), oppure prova a “battere il mercato”, cercando di vendere per anticiparela presunta fase negativa e poi rientrare nel momento che ritiene più favorevole, oppure ancora esce definitivamente dal mercato, cercando di capitalizzare su eventuali profitti maturati in passato.

Quest’ultima scelta, al netto dei rari casi in cui il capitale investito si renda necessario per spese improvvise, è condizionata da fortissime pressioni psicologiche, specialmente quando la volatilità è più estrema. A nessuno piace vedere il valore dei propri investimenti diminuire o andare in negativo e la tentazione di disinvestire o di entrare e uscire dal mercato è molto forte, comeabbiamo notato durante la fase incerta di marzo/aprile 2020.

Ecco perché conviene restare investiti

Per dimostrare gli effetti concreti di questi tre comportamenti, Moneyfarm ha paragonato la performance mediana di portafogli soggetti a queste tre scelte da parte di 11.565 clienti, in una finestra temporale che va da gennaio 2019 a novembre 2021. Ha individuato, in particolare, tre tipologie di investitori[1]:

  1. investitori che sono rimasti fedeli al proprio piano senza mai disinvestire
  2. investitori che hanno provato a “battere il mercato” disinvestendo almeno 1/3 del proprio portafoglio a marzo, aprile, maggio o giugno 2020 per poi effettuare almeno un investimento successivo
  3. investitori che hanno deciso di disinvestire integralmente il proprio portafoglio, ossia di uscire definitivamente dal mercato, tra il 1° gennaio 2020 e il 1° luglio 2020 e non hanno più investito

A novembre 2021 gli investitori lungimiranti della tipologia 1 – che costituiscono il 91% del totale, come logico aspettarsi da un campione Moneyfarm – avevano ottenuto un rendimento mediano del 14,8%. Gli investitori della tipologia 2 (2,5% del totale) che hanno disinvestito temporaneamente per poi reinvestire, invece, avevano conseguito un rendimento mediano del 9,3%, mentre gli investitori della tipologia 3 (6,5% del totale), che sono usciti del tutto dal mercato, un rendimento mediano in uscita del 3,2%.

 

 

Se non stupisce che la scelta di uscire dal mercato, durante o subito dopo lo scoppio della pandemia, sia risultata quella peggiore perché non ha consentito a questi investitori di beneficiare del recupero dei mesi successivi, è interessante il paragone tra gli investitori lungimiranti e coloro che, più o meno consapevolmente, hanno provato a “battere il mercato” disinvestendo temporaneamente, per poi provare a reinvestire in un momento che hanno giudicato più favorevole. Ma individuare questo momento, quello davvero giustoper capitalizzare sui profitti e approfittare della ripresa, è estremamente complesso e infatti i rendimenti di questi investitori sono stati decisamente inferiori a quelli degli investitori lungimiranti.

Negli investimenti naturalmente non si possono prendere come riferimento gli scenari passati per prevedere con esattezza il futuro. Questi dati servono semplicemente a rendersi conto che nelle fasi di volatilità sui mercati, anche quelle più estreme e difficilmente replicabili come quelle dello scorso anno, agire sulla scia delle emozioni o provare a “battere il mercato” può rivelarsi una scelta molto rischiosa. Una strategia d’investimento lungimirante, che neutralizza la volatilità nel tempo, e il supporto di una consulenza professionale che aiuta a gestire la pressione emotiva rappresentano l’antidoto migliore anche alle situazioni più complesse e imprevedibili.