Mercati Emergenti: niente panico, è il momento di un approccio attivo

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Il 2022 presenterà ancora delle sfide per i mercati emergenti, ma la modalità ‘panico’ non rappresenta una soluzione, dato che restando seduti in disparte finché il polverone viene meno si possono perdere interessanti opportunità nel debito emergente.

Ma cosa induce la modalità panico? Nel mio caso, scatta quando mi aspetto possibili fasi di ‘carenze’. Ad esempio, nel 2020, quando è stato annunciato che l’epidemia da COVID-19 era diventata una pandemia, la mia reazione immediata è stata quella di correre in negozio a fare scorta di provviste.

Con ulteriori pressioni inflazionistiche che incombono e la Fed che si muove verso un ciclo di rialzi, anche chi investe nei mercati emergenti è andato in modalità panico negli ultimi dodici mesi, come mostrano i rendimenti negativi degli indici per la maggior parte dei relativi indici.

Dati i venti contrari in tutti i mercati emergenti, si può essere indotti a pensare che tale paura sia giustificata. In America Latina sono saliti al potere diversi leader di sinistra, in particolare in Perù e Cile. Il calendario elettorale di quest’anno sembra altrettanto precario, con le elezioni presidenziali in Colombia e Brasile che potrebbero portare una maggiore inclinazione verso sinistra nella regione, il che potrebbe turbare i mercati.

In Asia, le politiche zero-Covid continuano a causare disruption alle catene di approvvigionamento. La risposta politica del governo cinese alle problematiche del settore immobiliare resta poco chiara, con la maggior parte delle obbligazioni del comparto che continuano ad essere scambiate su livelli di sofferenza.

Nell’Europa orientale, il conflitto tra Russia e Ucraina crea incertezza nella determinazione dei prezzi degli asset in questi Paesi, così come degli asset rischiosi più in generale, date le potenziali implicazioni per la fornitura di gas. Nel frattempo, in Turchia, un approccio politico poco ortodosso sta portando il Paese sull’orlo di una crisi.

Un certo numero di Paesi, come il Sudafrica, continuerà ad affrontare sfide sul fronte della crescita. Per non parlare di alcuni mercati emergenti high yield, come Sri Lanka ed Etiopia, che potrebbero dover affrontare una ristrutturazione del debito quest’anno.

Tuttavia, ciò non significa che gli investitori dovrebbero evitare i mercati emergenti. Anzi, a mio parere, questo è proprio il momento per adottare un approccio attivo in questo universo. Le convenzioni consolidate porterebbero a dire che il debito locale dei mercati emergenti sottoperformerà in un contesto di tassi in aumento. Tuttavia, ci sono una serie di indicazioni che suggeriscono che gran parte dell’impatto si è già sentito e che flussi e fondamentali potrebbero essere di supporto per l’asset class. Mentre gli Stati Uniti stanno per avviare il ciclo di rialzi, gran parte dei mercati emergenti ha alzato i tassi per la maggior parte dell’anno scorso, con il mercato che ha riprezzato le curve front-end dei tassi locali dei mercati emergenti di 300-400 pb.

Oggi, la maggior parte dei mercati locali ha previsto tassi reali positivi su un orizzonte di un anno, e ciò rappresenta il più alto differenziale storico di tassi reali con i mercati sviluppati. Allo stesso tempo, le dinamiche delle partite correnti restano di supporto nella maggior parte dei mercati emergenti con emissioni locali.

I maggiori costi di finanziamento peseranno sull’asset class?

Nel complesso, l’aumento del costo del debito non mette in discussione la sostenibilità del debito di per sé, ma pone una maggiore enfasi sulle politiche. In base alla nostra analisi, oltre il 90% degli emittenti dei mercati emergenti è in grado di far fronte a tassi USA più elevati e di fornire un carry più elevato rispetto ai crediti dei mercati sviluppati senza problemi di sostenibilità del debito.

Quei Paesi che hanno problemi di sostenibilità del debito o un mix di policy poco ortodosso sono già, in media, scambiati a 50-70 centesimi di dollaro, vicino ai tassi di recupero storici. Il segmento high yield dell’indice sovrano offre un rendimento vicino all’8,5%, o uno spread di 650 pb. Questo implica un tasso di default a una sola cifra per il debito sovrano dei mercati emergenti ad alto rendimento, qualcosa che credo sia improbabile che si materializzi nel nostro scenario di base.

Dato il livello degli spread, il punto di pareggio implicherebbe un aumento dei rendimenti in territorio a due cifre – un livello raggiunto solo due volte negli ultimi 20 anni che non è durato più di qualche mese.

Sul fronte corporate, al di fuori dell’immobiliare cinese, il tasso di default previsto rimane a una sola cifra. La maggior parte dei settori hanno margini elevati per sopportare tassi più alti (ad esempio, le telecomunicazioni), sono classificati come investment-grade con profili di scadenza più lunghi (servizi pubblici), sono sostenuti da prezzi elevati delle materie prime (petrolio e gas, metalli ed estrazione) o beneficiano apertamente degli aumenti dei tassi (settore finanziario).

In conclusione, anche se la volatilità rimarrà probabilmente alta, ci sono tanti elementi a favore per l’asset class quanti sono quelli contrari.Se gli investitori riusciranno a essere pazienti e guardare oltre la volatilità, dovrebbero essere in grado di cogliere opportunità interessanti.

Guardando al solo universo dei mercati emergenti in valuta forte, Paesi come Tunisia e El Salvador offrono il potenziale per rendimenti del 30-40% su base annua, per non parlare del settore immobiliare cinese, dove si può potenzialmente raddoppiare il proprio investimento nello stesso periodo di tempo.

Il pendolo degli investitori tende ad oscillare ad un ritmo relativamente veloce tra avidità e paura. Ci aspettano delle sfide, ma è probabile che si perdano opportunità nel debito dei mercati emergenti premendo il pulsante antipanico e restando seduti in disparte finché il polverone viene meno. Come disse una volta un investitore esperto: “negli investimenti, raramente ciò che è comodo è anche redditizio”.