Se devi fare un tackle, vuol dire che hai già sbagliato
Formulare valutazioni economiche era difficile già prima della crisi Russia-Ucraina, a causa delle distorsioni presenti in molte serie di dati dopo due anni di Covid. Con il conflitto ucraino, l’ulteriore rincaro del petrolio e le nuove interruzioni nelle catene di fornitura, è evidente che bisogna considerare una gamma di possibilità ancora più ampia per quanto concerne i fondamentali. I rischi al ribasso per l’economia sono aumentati notevolmente e ora si parla apertamente della possibilità di una recessione.
Per quanto concerne il quadro tecnico, la nostra principale preoccupazione è che le banche centrali dei mercati sviluppati siano rimaste dietro la curva. Riteniamo che la Fed abbia commesso un chiaro errore di policy avviando l’attuale ciclo di inasprimento troppo tardi. Rischiamo dunque di assistere a rialzi dei tassi più pronunciati del previsto nei prossimi mesi e a un’inflazione non solo più duratura, ma anche destinata a raggiungere livelli più alti. Questa situazione è simile a quella descritta dal calciatore italiano Paolo Maldini, quando afferma che se una tattica difensiva non anticipa i rischi futuri, è necessario prendere misure di emergenza (ossia entrare in tackle).
Nel complesso, accettiamo livelli di beta un po’ più elevati per il credito investment grade. Non ci preoccupa che i beta siano di poco superiori a uno finché rimaniamo nel primo quartile del nostro budget di rischio. Quanto all’high yield, il mercato statunitense, in particolare, ha iniziato a riflettere nuovamente un lieve ottimismo e presenta a nostro avviso valutazioni troppo elevate. Pertanto, preferiamo mantenere la nostra posizione sottopesata sul beta, nonostante il fatto che gli spread dei titoli high yield europei siano diventati più convenienti negli ultimi mesi.
L’economia europea sarà duramente penalizzata da questa crisi. L’Europa non solo deve far fronte alle interruzioni delle catene di fornitura ma è anche altamente dipendente dall’energia russa, oltre che dalle materie prime agricole esportate dall’Ucraina.
L’economia statunitense, anche se è in ripresa da meno di due anni, ha già cominciato a surriscaldarsi. Il mercato del lavoro si è ampiamente ristabilito, completando uno degli obiettivi del mandato della Fed.
L’impennata dei prezzi del petrolio può avere un costo pari al 3% della crescita del PIL su un orizzonte di diversi anni. “In altre parole, oltre ad alimentare l’inflazione complessiva, lo shock energetico agisce chiaramente come un’imposta sulla crescita. Questo mette le banche centrali in una posizione difficile. L’inflazione è semplicemente troppo alta per essere ignorata e la Fed non può che reagire, data la natura del suo mandato. Pertanto, è probabile che si verifichi una rapida serie di rialzi dei tassi in un breve lasso di tempo, possibilmente accompagnata da una riduzione del bilancio della banca centrale, con potenziali ricadute negative sulla crescita economica.
Siamo consapevoli che sia il ciclo di rialzi dei tassi che lo shock petrolifero possano innescare una recessione. Riteniamo che la probabilità sia ragionevolmente elevata, ed è senz’altro aumentata.
Secondo la nostra analisi, i prezzi di mercato e gli spread creditizi riflettono adesso la fine del QE e il previsto inizio del QT nei prossimi mesi. Abbiamo definito questo lo scenario “2018”. Ci sono tuttavia alcuni scenari che non sono ancora scontati dai mercati.
In primo luogo, le conseguenze inflazionistiche e recessive in stile anni ’70 dell’attuale shock petrolifero potrebbero non materializzarsi, ma le analogie tra le due crisi petrolifere, che hanno origine dal lato dell’offerta, ci inducono a considerare la possibilità di un rallentamento più marcato e di una più brusca reazione degli spread.
In secondo luogo, non siamo affatto sicuri che i premi al rischio scontino interamente un eventuale default russo, che in termini nominali sarebbe uno dei più grandi della storia.
In terzo luogo, riteniamo sempre più improbabile una crescita economica del 5,5% in Cina. Dato che quest’ultima ha fornito oltre il 50% del contributo marginale alla crescita del PIL globale nell’ultimo decennio, anche questo scenario potrebbe essere fonte di delusione.
La conclusione per le valutazioni è che gli spread si sono riportati intorno ai valori mediani, ossia su livelli più ampi di quelli registrati negli ultimi sette trimestri. Per questo motivo non vogliamo più mantenere una sottoesposizione al rischio, anche se abbiamo bisogno di un premio al rischio più elevato per assumere una posizione lunga. Siamo focalizzati sulla selezione dei titoli, sulle scelte settoriali e sulle differenze regionali nella composizione degli spread.
Nel complesso, le valutazioni suggerirebbero di assumere un atteggiamento un po’ più ottimista sui mercati del credito. Tuttavia, come ha detto una volta Maldini, “se devi fare un tackle, vuol dire che hai già sbagliato”. Noi continuiamo a esercitare una certa prudenza nella gestione di queste allocazioni, poiché i rischi di coda sono dietro l’angolo e lo shock petrolifero deve ancora finire di fare il suo corso.