Il superciclo delle materie prime è già finito?

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Negli ultimi due anni le materie prime hanno fatto faville. Di fatto, sono l’unica asset class per la quale abbiamo previsto extra-rendimenti rispetto ai rendimenti stabili dell’ultimo anno. Quello che non avevamo previsto, però, era un’altra fase di rialzo dall’agosto 2021, con l’indice GSCI delle materie prime ora in rialzo del 50% rispetto al picco della recessione nel febbraio 2020. Lo slancio delle materie prime si è raffreddato da metà giugno, quando le crepe nella domanda aggregata globale sono diventate più pronunciate e l’attenzione si è spostata dalle preoccupazioni per l’inflazione al rischio di recessione, mentre i mercati hanno iniziato a scontare un percorso di disinflazione più rapido sulla scia delle aggressive mosse politiche da 75 punti base della Fed. La stabilizzazione delle aspettative di inflazione a medio termine negli Stati Uniti solitamente riduce la domanda di materie prime come copertura dell’inflazione.

Finora, i rendimenti realizzati nell’espansione post-pandemia sono già ampiamente alla pari con quelli ottenuti alla fine del superciclo delle materie prime del 2001. Questo implica che il superciclo delle materie prime dei cosiddetti “Roasting Twenties” sia già finito? In prospettiva, nel nostro scenario di base prevediamo per le commodity rendimenti simili a quelli di un titolo di Stato stabile al 4% nei prossimi cinque anni.

In primo luogo, osserviamo un’offerta relativamente anelastica nei mercati delle materie prime. Con mercati spot rigidi, la distruzione della domanda attraverso prezzi elevati sarà il principale meccanismo di riequilibrio nei prossimi anni. La distruzione della domanda da parte dei consumatori è già in atto, e questi ultimi stanno attivamente razionando il loro consumo di energia. Questo processo di razionamento raggiunge tipicamente il suo apice quando i prezzi della benzina raggiungono il picco prima di una recessione. Negli Stati Uniti i prezzi della benzina sono aumentati perché i crack spread (la differenza tra un barile di greggio e i prodotti petroliferi da esso raffinati) si sono ampliati a causa delle chiusure e delle interruzioni delle attività nelle raffinerie, facendo lievitare i prezzi per i consumatori.

In secondo luogo, sebbene le inversioni della curva dei rendimenti abbiano segnalato il rischio di recessione negli Stati Uniti, le materie prime sono un asset di fine ciclo che in media vede un aumento dei prezzi tra l’inversione della curva dei rendimenti e il picco di recessione. L’aumento della bolletta energetica anticiperà la recessione nell’eurozona, soprattutto se la Russia chiuderà completamente il Nord Stream 1 ai clienti tedeschi. Il risultato sarà una maggiore concorrenza globale per il GNL, mentre l’Europa cerca di affrancarsi dal gas russo e di ottenere l’indipendenza energetica nei prossimi anni.

In terzo luogo, l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari potrebbe continuare anche dopo la prossima stagione dei raccolti. L’aumento dei prezzi del gas fa lievitare i prezzi dei fertilizzanti, il che fa calare la resa delle colture, non solo quest’anno ma anche nel medio termine, e il suolo si impoverisce ulteriormente. Inoltre, una guerra prolungata in Ucraina potrebbe ostacolare la produzione di cereali, anche se il recente accordo firmato da Ucraina e Russia sulle esportazioni di grano attraverso il Mar Nero dovesse reggere.

In quarto luogo, con la nostra proiezione a cinque anni sull’inflazione negli Stati Uniti al 2,6% – modestamente al di sopra dei livelli a cinque anni di inflazione di pareggio – riteniamo che la domanda di materie prime come copertura dell’inflazione persista. Sebbene le recessioni, che ci aspettiamo intorno al 2023, siano tipicamente altamente disinflazionistiche e quindi creino venti contrari per l’asset class, nel nostro scenario di base non prevediamo una vera e propria deflazione, né profondi mercati ribassisti delle materie prime.

Nel nostro scenario rialzista, le ragioni per investire in materie prime sono ancora più convincenti perché i mercati sviluppati continuano a crescere al di sopra del loro tasso tendenziale di lungo periodo, con una domanda aggregata in grado di sostenere prezzi più elevati più a lungo. Una minore anelasticità dell’offerta rispetto allo scenario di base (anche perché i costi del capitale per le società minerarie e i produttori di petrolio diminuiscono grazie all’accelerazione della transizione verde) contribuisce a riequilibrare i mercati delle materie prime. Con il contributo sul fronte dell’offerta, dunque, gli aumenti dei prezzi sono meno esplosivi e più sostenibili.

Poiché i Paesi che rappresentano circa il 67% del PIL mondiale si sono impegnati a risolvere il problema del cambiamento climatico, ci aspettiamo una spinta politica per accelerare la transizione verso l’energia verde e su questa scia aumenterà la domanda di “metalli verdi” come rame, minerale di ferro e alluminio. L’acciaio è il principale fattore produttivo per i produttori di eolico: circa l’84% del peso di una turbina è costituito da acciaio. Secondo l’AIE, un impianto eolico offshore richiede risorse minerarie nove volte superiori a quelle di un impianto a gas, mentre un’auto elettrica media richiede sei volte i minerali necessari per un’auto tradizionale. L’elettrificazione richiede enormi quantità di rame e alluminio.

Per facilitare la transizione verso le energie rinnovabili, nei prossimi decenni si assisterà a un’intensa attività di roasting, cioè di fusione di minerali di ferro, rame e alluminio. Per raggiungere l’obiettivo di emissioni nette di carbonio pari a zero entro il 2050, è necessario un apporto di minerali e metalli sei volte superiore rispetto a quello attuale per le energie rinnovabili. Il nostro scenario rialzista vede il prolungarsi di un superciclo ispirato alla transizione green e genera un rendimento previsto dell’8,25% nei prossimi cinque anni.

Nella nostra ipotesi ribassista, le materie prime risentono di un calo della domanda aggregata intorno alla recessione del 2023, nonostante i flussi dei safe haven favoriscano l’oro dopo che la Fed avrà raggiunto il proprio picco di politica monetaria. Poiché l’offerta rimane relativamente anelastica e l’aumento del costo del capitale inibisce l’espansione dell’offerta mineraria, il riequilibrio tra domanda e offerta avviene prevalentemente attraverso la distruzione della domanda. Dopo un po’ di tregua intorno al 2024/2025 per le materie prime, quando la ripresa prenderà piede, un secondo ciclo di inasprimento delle politiche per contenere la ripresa dell’inflazione invertirà la tendenza. Con una fase di distruzione della domanda ancora più profonda nel 2027 rispetto al 2023, le materie prime vedono un rendimento complessivo del -2% in euro nei prossimi cinque anni.