Startup: qual è la miglior cap table e quali sono gli errori da non commettere durante il fundraising?

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Le quote capitale sono incentivo, leva negoziale e asset strategico per i founder di una startup: quali sono i principali errori da evitare in fase pre-seed e early stage nei rapporti con gli investitori e negli stessi rapporti tra i founder? Partiamo dalla Cap Table, ossia la divisione quote tra i soci di una società con le relative percentuali e il valore delle stesse. Se può sembrare molto semplice gestire una Cap Table in fase iniziale, può essere molto complesso man mano che il tempo passa: le variabili da monitorare, infatti, aumentano insieme al numero dei soci. Gestire le quote (proprie e dei soci) durante la raccolta fondi – specialmente nei round pre-seed – è quindi una delle attività più delicate per ogni startupper, e può esporre i founder a diversi rischi; ecco alcuni consigli per evitare di commettere passi falsi:

 

  • Rivolgiti a un avvocato durante la redazione dello statuto e del patto parasociale, questo ti aiuterà, tra le altre cose, a:

    1. definire le linee guida per includere un periodo di prova per i nuovi fondatori;

    2. includere un programma di vesting,  fondamentale per i piani di equity compensation delle startup: il vesting tutela i soci dell’azienda nel momento in cui entra un terzo soggetto come socio, stabilendo che le partecipazioni vengano maturate in base agli anni effettivi di lavoro nella società;

    3. definire le clausole per dipendenti e fondatori, relative all’uscita dalla società, definendo good leaver/bad leaver, e ragionando su come utilizzarle per motivare i propri collaboratori.

 

  • Non dare troppa equity ai fondatori non attivi: i founder dovrebbero, infatti,  avere in pre-seed almeno l’80% delle quote. Nelle prime fasi di vita di una startup, può capitare che i founder diluiscano troppa equity e troppo presto nei confronti dei primi finanziatori. La conseguenza è che, con quote sensibilmente inferiori, i fondatori potrebbero perdere buona parte dell’interesse e della motivazione che una startup nei primi anni di vita richiede.

 

  • Includi un piano di partecipazione azionaria dei dipendenti (ESOP) sin dal seed round: il piano prevede che venga assegnata una determinata percentuale delle quote della società a chi reputato idoneo; a seguito della sua uscita dall’azienda e in mancanza del completamento della “vestizione”, la società riacquista le quote per un’ulteriore distribuzione ad altri dipendenti.

 

  • Non concedere quote in cambio di servizi a meno che non sia strettamente necessario e possibile congiuntamente a un investimento di denaro; in caso contrario tutto il rischio è sulla startup che si diluisce immediatamente, a fronte di servizi futuri e, spesso, non così chiari e misurabili. Inoltre si potrebbero precludere ulteriori round per motivi simili a quello descritto sopra nel caso dei “founder non attivi”.

 

  • Se ci sono due o più co-fondatori – e uno di loro possiede l’80% – di solito c’è qualcosa che non funziona. Come dicevo, le quote della startup sono il principale asset strategico per i founder, più ritengono equa la divisione delle quote, più la loro motivazione nel dare il massimo rimarrà alta e si impegneranno a lavorare nella startup.

 

  • Nei tuoi calcoli lavora sempre con una Fully diluted Cap Table e valuta di usare un Dynamic Cap Table come strumento per comprendere le dinamiche di diluizione:  questo ti permette di avere non solo la “fotografia” delle quote attualmente detenute dai soci, ma avrai un piano completo di come verrebbe ripartita la totalità delle quote, se tutte le conversioni scattassero in quel momento.

 

di Andrea T. Orlando, Managing Partner di Startup Wise Guys Italy