Tasse. Il problema della doppia imposizione sui dividendi esteri

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Convenzione di doppia imposizione (CDI) – 

Il principio è quello di non pagare due volte le tasse, prima nel Paese in cui su effettua un investimento, poi nel proprio Paese di residenza, quando si sceglie di investire in azioni o altri strumenti finanziari su mercati esteri.

Per evitare il problema della doppia imposizione e stabilire una soluzione equa anche per gli investitori stranieri, la maggior parte dei Paesi del mondo ha concordato accordi congiunti contro la doppia imposizione. Si tratta di accordi bilaterali tra due Stati, che specificano chiaramente a quale aliquota sulle plusvalenze ha effettivamente diritto il Paese di origine. In un accordo sulla doppia imposizione, gli Stati concordano ad esempio che 15 punti percentuali della ritenuta d’acconto vanno in compensazione con la ritenuta d’acconto del Paese di residenza. La differenza tra i 15 punti percentuali accreditati e la ritenuta d’acconto effettiva può quindi essere recuperata dall’investitore straniero di questo Paese.

Esempio: investimento in azioni estere

Esempio: investi dall’Italia nell’azienda alimentare svizzera Nestlé e ricevi un dividendo di 1.000 franchi. Di questi CHF 1000 viene trattenuta dall’Amministrazione federale delle contribuzioni un’imposta preventiva del 35%, corrispondente a CHF 350. Se Svizzera ed Italia hanno concordato un accordo sulla doppia imposizione, 15 punti percentuali della ritenuta alla fonte vengono compensati con la ritenuta alla fonte e tu come investitore italiano puoi farti rimborsare il restante 20% (200 CHF).

Dimensione del mercato

Sulla base di uno studio della società di gestione patrimoniale globale Janus Henderson, il mercato globale dei dividendi ha attualmente un volume di 1,5 trilioni di dollari all’anno, con tassi di crescita del 5-10% annuo. Circa 100 miliardi di dollari di questi dividendi sono trattenuti attraverso ritenute alla fonte; si stima che circa 20 miliardi di dollari oggi non sono recuperati da chi avrebbe diritto al rimborso. Ancora più sinteticamente, una ricerca effettuata sul mercato tedesco rileva che i risparmiatori tedeschi stanno regalando circa 5 miliardi di euro di ritenuta d’acconto non recuperata: basterebbe la compilazione del modulo di richiesta (in effetti un po’ complicato …). Solo quest anno in Germania si è aggiunto più di 1 miliardo di euro alle somme non recuperate. E in Italia? Certo non andiamo meglio.

Perché non si recuperano questi importi cui si ha diritto?

Da un lato, ciò è dovuto al fatto che molti investitori, in particolare investitori privati, non sono nemmeno a conoscenza del fatto che possono ottenere il rimborso delle ritenute d’acconto. D’altro canto, le stesse domande di rimborso sono per lo più confuse, non hanno una struttura uniforme e spesso sono disponibili solo nella rispettiva lingua nazionale, il che rende la loro compilazione un compito lungo, soggetto a errori, oltre al fatto che di solito richiede conoscenze fiscali specialistiche. Ma non solo gli investitori trascurano questo punto: anche molti consulenti fiscali evitano questo argomento perché lo trovano scomodo. In effetti il noto giornalista finanziario Thomas Rappold, autore di bestseller come “Silicon Valley Investing”, trovava comprensibilmente assurdo che fino a poco tempo fa il modulo svizzero per il rimborso della ritenuta d’acconto dovesse essere compilato a mano o utilizzando una macchina da scrivere.