Ripensare all’intera catena di valore del cibo

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Secondo l’ONU, il 15 novembre 2022 la popolazione mondiale ha raggiunto gli 8 miliardi di individui. La domanda di cibo cresce, le aree disboscate aumentano, la biodiversità diminuisce, i suoli diventano sempre più aridi. Tutti questi fenomeni aumentano le emissioni di GHG nell’atmosfera. L’ONU stima che la catena del valore del cibo conta per il 30% delle emissioni globali, di cui il 40% deriva da agricoltura (fertilizzanti e pesticidi) e allevamento (50% dalla produzione di carne), un terzo dai cambiamenti di uso del suolo e la rimanente parte dalla supply chain (cottura, refrigerazione, packaging, trasporto e rifiuti).

Senza un cambio di filosofia della nostra dieta e delle nostre abitudini alimentari, dove la carne rossa abbonda a sfavore di frutta e verdura, il raggiungimento dell’obiettivo di Parigi diventerebbe irraggiungibile.

L’Europa, con il programma Farm to Fork, rientrante nel Green Deal, è stata la prima a mettere le basi per un ripensamento dell’intera catena del valore del cibo. Tra gli obiettivi entro il 2030 ci sono la riduzione del 20% di fertilizzanti, del 50% di pesticidi, nonché del 50% di antibiotici, portare al 25% i terreni agricoli adibiti a coltura biologica, vs il 7.5% attuale, convertire il 10% dei terreni agricoli in terre dove possano proliferare animali selvatici e possa aumentare la biodiversità, trasformare il 30% delle terre e dei mari in aree protette (attualmente 26% delle terre e 11% dei mari lo sono) e dimezzare gli sprechi di cibo.

Anche se gli Stati membri non vogliono obbligare la popolazione a nutrirsi secondo i loro dettami, sono molte le frecce nella faretra dell’Europa per influirne sulle decisioni, come: etichette obbligatorie su nutrizione e provenienza del prodotto, evitare campagne pubblicitarie sulla carne a basso prezzo che offuschi la qualità del cibo e l’utilizzo di tassazioni diverse a seconda del cibo, come la proposta di aggiungere 1€/kg sulla carne dal 2023 al 2025, aumentandola progressivamente. Inoltre, l’Europa fornisce 30 miliardi di euro in sussidi per l’allevamento di bestiame, quindi è possibile che un reindirizzamento di tali sussidi verso l’agricoltura cellulare e la produzione di alimenti a base vegetale possa aiutare questa transizione, dato che queste due forme alternative di produzione del cibo ridurrebbero le emissioni di GHG del 90% a parità di carne prodotta, nonché un uso limitato di acqua, pascoli e altre risorse del nostro Pianeta. A tal proposito, il 27 aprile la Commissione Europea ha registrato l’iniziativa End The Slaughter Age con la quale si chiede di eliminare i sussidi europei destinati all’allevamento per convogliarli a forme di produzione di carne alternative, quali appunto l’agricoltura cellulare e la produzione di carne a base vegetale. Il 5 giugno del 2022 è partita la raccolta firme. Può essere che in un anno non raggiungeranno quel milione di adesioni necessarie a prendere in considerazione la mozione, ma è certo che data l’intenzione dell’Europa di incentivare un cibo più sostenibile, questa iniziativa non sarà isolata. Atre forme di incentivo potranno essere la capacità degli agricoltori nel sequestrare la CO2 emessa, far entrare questo settore nel mercato dei certificati di CO2, l’uso di fonti pulite per l’energia necessaria alla produzione o digestori anaerobici per i biogas prodotti dai rifiuti di cibo.

Legate a questa trasformazione ci sono anche due aspetti sociali importanti, quali un trattamento più sano per gli animali e la riduzione del lavoro minorile a livello globale, dato che il 75% di questo abuso avviene proprio nel campo dell’agricoltura e dell’allevamento.

Le società che saranno impattate da questa trasformazione saranno tutte quelle coinvolte nella catena del valore del cibo, come produttori di bestiame, aziende chimiche produttrici di fertilizzanti e enzimi, società del food che producono e commercializzano i prodotti, ristornati, le nuove start up del cibo alternativo, nonché le società tecnologiche che forniscono l’attrezzatura per una agricoltura più mirata e sostenibile e le aziende farmaceutiche che producono test attraverso tutta la catena del valore.

Da questo gruppo, la trasformazione in atto favorirà soprattutto le società che producono enzimi e aromi e quelle che eseguiranno test: le prime perché vedranno il loro contributo nella generazione di prodotti a base vegetale lievitare all’85%, rispetto all’attuale 15% per un analogo tradizionale, le seconde per un maggior controllo e per l’obbligatoria etichetta che dovrà essere posta sui prodotti che finiranno nei supermercati.

Attualmente i cibi alternativi hanno un prezzo superiore a quelli tradizionali, ma stiamo paragonando un’industria nascente contro una che produce su grande scala da decenni, durante i quali ha potuto ottimizzare tutti i processi. E’ facilmente intuibile come la nuova industria potrà avere costi minori col tempo, favorita da un aumento della produzione, dallo sviluppo della tecnologia e dalla necessità di sfruttare il 90% in meno di risorse del nostro Pianeta.