Commento GAM: Scricchiolii
La scorsa settimana, lo S&P 500 ha segnato nuovi massimi storici, ma ha rapidamente invertito la rotta, segnando un deterioramento nel sentiment di mercato. Tra i principali motivi del calo figurano i dati macro deludenti: gli indici PMI e il Michigan Sentiment sono risultati inferiori alle attese, spingendo il Citigroup Surprise Index ai minimi da cinque mesi. I timori di un peggioramento economico hanno penalizzato in particolare i titoli dei consumi discrezionali, con Amazon e Walmart in calo di circa il 10% rispetto ai massimi di febbraio. A pesare anche le scadenze tecniche: 2.700 miliardi di dollari in opzioni a febbraio che hanno amplificato la volatilità e innescato prese di profitto. Si aggiungono poi i timori legati alla scoperta in Cina di un nuovo potenziale coronavirus trasmissibile da animale a uomo e i fattori stagionali, legati all’inizio del pagamento delle tasse annuali, un periodo storicamente delicato per i mercati azionari. Infine, sembra riemergere uno schema osservato durante la prima amministrazione Trump: i trader retail tendono a chiudere le posizioni prima del fine settimana per evitare di essere colti alla sprovvista da notizie improvvise.
Dai verbali della riunione di gennaio della Fed, pubblicati la scorsa settimana, non emergono novità rilevanti. È stata confermata la cautela già espressa su nuovi tagli dei tassi. I funzionari restano fermi sull’attesa di ulteriori progressi sull’inflazione prima di agire, mentre alcuni membri hanno sollevato la possibilità di interrompere o rallentare il QT in caso di instabilità legata alla definizione del nuovo tetto del debito. Attualmente, la Fed sta riducendo il proprio bilancio lasciando scadere ogni mese 25 miliardi di dollari di Treasury e 35 di titoli garantiti da ipoteca (MBS) senza reinvestire il capitale rimborsato. Tuttavia, l’incertezza politica prima di un accordo, potrebbe creare instabilità, inducendo la Fed a rivedere questa strategia. L’ipotesi di un cambio di rotta sul QT è stata interpretata come un possibile supporto alla domanda di titoli del Tesoro, favorendo così una reazione positiva del mercato obbligazionario, con la curva dei rendimenti che si è appiattita.
Isabel Schnabel, componente del comitato esecutivo della BCE e considerata un falco, ha dichiarato al Financial Times che la Banca Centrale potrebbe sospendere o interrompere i tagli dei tassi, sollevando dubbi sul fatto che la politica sia ancora restrittiva. Ha suggerito di rimuovere dal comunicato di marzo la frase che indica che la BCE sta frenando l’economia. Sebbene un taglio nella prossima riunione resti probabile, le decisioni future saranno più complesse, con l’inflazione al 2,5% e rischi al rialzo legati ai prezzi dell’energia e ai dazi USA, mentre l’economia rimane debole. Schnabel ha anche messo in guardia dall’affidarsi eccessivamente al concetto di tasso neutrale, livello che non limita né stimola la domanda, individuato dalla BCE tra l’1,75% e il 2,25%, sottolineando che, sebbene utile in linea teorica, non rappresenta il parametro ideale per determinare l’orientamento della politica monetaria. Infine, ha osservato che l’inflazione dei servizi e la crescita dei salari sono ancora su livelli elevati. Le proiezioni della BCE prevedono una loro decelerazione, anche se questo deve ancora concretizzarsi.
L’indice PMI composito dell’area euro si è fermato a 50,2 a febbraio, segnalando una crescita appena percettibile, trainata dal settore dei servizi. Il dato, inferiore alle previsioni di 50,5, evidenzia un’economia che fatica a guadagnare slancio, rimanendo vicina alla soglia che separa crescita e contrazione. L’indice oscilla attorno a 50 da giugno, nonostante i tagli della BCE abbiano contribuito a evitare una flessione più marcata. L’attesa ripresa della domanda dei consumatori e della spesa delle imprese tarda però ad arrivare. I rischi geopolitici, dalle tensioni in Ucraina alle minacce di dazi USA, continuano a pesare sul sentiment delle aziende.
In Germania, il PMI composito è salito a 51,0 da 50,5, superando le attese grazie al miglioramento del settore manifatturiero, in vista delle elezioni. L’ottimismo è alimentato dalla possibilità che il nuovo governo, con a capo il conservatore Friedrich Merz, possa ridurre la burocrazia e rilanciare gli investimenti. In Francia, invece, il PMI è sceso bruscamente a 44,5 da 47,6, penalizzato dalla debolezza dei servizi che ha annullato i timidi segnali di ripresa manifatturiera. Le incertezze legate al bilancio nazionale e alle future politiche fiscali hanno ulteriormente pesato sul sentiment. L’elemento comune tra i due Paesi resta il timido miglioramento del comparto industriale, mentre le pressioni inflazionistiche nei servizi restano elevate, complicando il compito della BCE.
L’attività imprenditoriale statunitense ha rallentato a febbraio, con l’indice PMI composito preliminare elaborato da S&P Global sceso a 50,4, il minimo da 17 mesi. Il settore manifatturiero si è espanso per il secondo mese consecutivo, ma il miglioramento potrebbe essere temporaneo, poiché alcune aziende hanno accelerato la produzione per anticipare le tariffe. Il comparto dei servizi, principale motore dell’economia USA, ha invece segnato la prima contrazione in due anni, con un indice sceso a 49,7 rispetto al 52,9 di gennaio. L’incertezza sulle politiche dell’amministrazione Trump e le preoccupazioni legate a dazi, inflazione e tensioni geopolitiche hanno frenato la domanda e peggiorato le aspettative delle imprese. Le pressioni inflazionistiche restano elevate, con i prezzi dei fattori produttivi ai massimi da cinque mesi e un aumento dei costi che rischia di comprimere i margini di profitto. Sul fronte occupazionale, si segnala la contrazione più marcata nei servizi dal 2020, in piena crisi pandemica.
L’indice di fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan è sceso a 64,7 a febbraio, riflettendo preoccupazioni per l’inflazione e le prospettive economiche. Le aspettative di inflazione a lungo termine sono salite al 3,5%, con una divisione tra le opinioni politiche. Più della metà dei consumatori prevede un aumento della disoccupazione, ma la Fed probabilmente non reagirà in modo deciso a questo dato, visto che altri indicatori non mostrano un simile aumento delle aspettative inflazionistiche. Alibaba guida il rally tech in Cina. I risultati del terzo trimestre hanno battuto le aspettative degli analisti, registrando un utile netto di circa 49 miliardi di yuan (6,72 miliardi di dollari) e ricavi superiori a 280 miliardi di yuan. La crescita è stata trainata dai segmenti cloud (+13%) e e-commerce (+5%). Alla notizia, il titolo è balzato del 14,5% a Hong Kong, innescando un rally nel settore tecnologico, con Lenovo e Tencent tra i principali beneficiari. Un ulteriore impulso è arrivato dalla notizia che Ryan Cohen, CEO di GameStop, ha aumentato la sua quota in Alibaba a circa 7 milioni di azioni, scommettendo sulla crescita a lungo termine dell’economia cinese. Le prospettive per l’intero settore tech restano positive, sostenute dalla spinta dell’intelligenza artificiale e da un clima normativo più favorevole promosso dal presidente Xi Jinping.
L’Hang Seng tocca i massimi degli ultimi tre anni, spinto dall’entusiasmo per i risultati delle big tech cinesi e dall’espansione dell’intelligenza artificiale. Nonostante l’impennata, l’Hang Seng Tech Index resta sottovalutato rispetto ai picchi del 2020, come evidenziato dal grafico, lasciando spazio a ulteriori rialzi. Con il Congresso Nazionale del Popolo all’orizzonte e la possibilità di nuovi stimoli economici, il sentiment di mercato rimane positivo. Monitoriamo però le mosse di Trump, che punta a limitare la spesa cinese nei settori tecnologici e strategici USA e ha invitato il Messico a imporre tasse sulle importazioni cinesi per contrastare l’aggiramento dei dazi. Gli investitori ora guardano ai risultati di Nvidia, in uscita mercoledì, come possibile catalizzatore per il prossimo movimento del settore tecnologico globale.