Lo shock dei dazi reciproci blocca il pil degli Stati Uniti; l’Asia viene colpita duramente mentre l’America latina viene risparmiata

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Il “Liberation Day” è stato segnato dall’imposizione da parte dell’amministrazione statunitense di un dazio minimo del 10% su tutte le esportazioni a partire dalla fine della settimana, con tariffe ben più elevate su alcuni partner commerciali specifici. I paesi asiatici sono stati particolarmente colpiti (Taiwan, Giappone, Corea del Sud, India, Indonesia, Vietnam), mentre i Paesi dell’America Latina ne molto meno, poiché sembrano essere considerati “attori virtuosi”.

Il Presidente Trump ha dichiarato che questi dazi sono dinamici e verranno ridotti man mano che i Paesi risponderanno con concessioni, abbassando le proprie barriere tariffarie e non tariffarie sulle esportazioni statunitensi.

Secondo le nostre stime, questo nuovo shock aumenterebbe Il tasso medio delle tariffe degli Stati Uniti di oltre il 18%, portandolo al 31% – un livello che si colloca all’estremità superiore delle aspettative del mercato. Un tale impatto potrebbe ridurre il PIL statunitense di un ulteriore 1,5% e spingere l’inflazione core oltre l’1%.

Si tratta quindi di un’economia statunitense che quest’anno rischia la recessione, con l’inflazione che accelera nuovamente. E questo ancor prima della prossima ondata di dazi settoriali, menzionata ancora una volta da Trump, su chip, prodotti farmaceutici, rame, legname e servizi di spedizione.