Polizze vita: prendi i soldi e scappa

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La quasi totalità dei sottoscrittori, alla scadenza del contratto preferisce incassare tutto il capitale in una soluzione unica invece di una rendita

“Prendi i soldi e scappa”: il titolo del film di Woody Allen ben descrive il comportamento degli italiani in occasione della scadenza della loro polizza vita. Nel triennio 2012/2014, il 99,72% dei contraenti dei contratti in scadenza, potendo scegliere tra il riscuotere il capitale maturato in unica soluzione oppure optare per una rendita vitalizia, ha preferito la prima soluzione piuttosto che accontentarsi di un reddito periodico (mensile o annuale) da incassare vita natural durante ed eventualmente, in caso di morte, reversibile a favore di un superstite.

È quanto emerge dalla periodica indagine campionaria sul ricorso alla rendita vitalizia appena diffuso dall’Ania, l’associazione delle compagnie assicurative che, con cadenza biennale, analizza il trend di utilizzo delle rendite nel mercato italiano.

Rispetto alle indagini degli anni passati si nota un lievissimo miglioramento, ma la “propensione alla rendita”, ovvero il rapporto tra le rendite attivate (sia come numero sia come importo) e i contratti vita in scadenza, è sempre insignificante. Nel triennio preso in considerazione (2012-2014) sono giunti a scadenza oltre 2,9 milioni contratti (sia in forma di capitale sia in rendita differita), per un ammontare di circa 61,3 miliardi di euro. L’opzione in rendita è stata esercitata solo per 7.982 contratti (lo 0,27% del totale) corrispondenti ad un importo complessivo di 305 milioni di euro (lo 0,49% del capitale totale in scadenza nel triennio).

Le polizze vanno distinte in due tipologie: “di capitale” con opzione di conversione in rendita o “di rendita differita” con opzione di conversione in capitale. Quest’ultime vengono specificatamente sottoscritte con l’obiettivo di pagare una rendita a scadenza pur mantenendo il diritto a richiedere in alternativa il capitale maturato in un’unica soluzione. Le polizze appartenenti alla seconda tipologia realmente convertite in rendita sono pari al 3,8% del totale (il 4,6% del capitale liquidabile). Dunque, anche per queste polizze nate per erogare una rendita, la scelta è caduta in modo prevalente sul capitale a conferma di un trend già emerso nelle indagini Ania dei bienni precedenti.

Quali le cause di questa idiosincrasia nazionale verso le rendite vitalizie? A scoraggiare chi deve sceglierle potrebbe essere la possibile magra consistenza dell’assegno da incassare. Questo viene definito non solo in relazione a quanto versato nella polizza, ma anche in base a regole attuariali commisurate all’età del potenziale titolare della rendita al momento della richiesta. Per esempio, a fronte di un capitale medio maturato nell’ultimo triennio di 21.069 euro, un 67enne percepirebbe una rendita iniziale di circa 1.021 euro annui; mentre se il montante maturato fosse invece di 100 mila euro lo stesso assicurato percepirebbe una rendita annua iniziale di 4.846 euro.

Per scegliere tra capitale e rendita va tenuto presente che quest’ultima sarà riscossa finché l’assicurato sarà in vita: potrebbe accadere che i meno fortunati, sommando le annualità riscosse possano incassare molto meno di quanto investito nella polizza. Chi invece vivrà a lungo potrebbe ricevere dalla compagnia un importo complessivo molto più consistente di quanto versato.

Lo scarso interesse verso le rendite del ramo vita si riflette anche nella previdenza integrativa. In questo comparto tutti gli sforzi si concentrano nella costruzione di una pensione di scorta da aggiungere a quella pubblica che, salvo alcune eccezioni, gli aderenti devono incassare almeno per il 50% del montante maturato mentre solo la parte restante, non più del 50% potrà essere erogata in capitale.

Dalla recente relazione Covip emerge tuttavia che nel 2015 le erogazioni di prestazioni pensionistiche in capitale sono state circa 58 mila, mentre le posizioni individuali trasformate in rendita sono state 3.300: appena il 5% del totale.