GAM: Valore o Qualità?

Larry Hatheway -

Per spiegare le difficili condizioni di mercato del 2018 si cita spesso la lotta per la supremazia tra solidi fondamentali e crescente rischio geopolitico.

E non a torto: gran parte del contesto economico fondamentale rimane ben sostenuto; la crescita globale non era così sincronizzata dalla fine degli anni ‘80; il numero di economie avanzate che evidenzia una crescita tendenziale e quasi raggiunge la piena occupazione è a un livello senza precedenti da una generazione; l’inflazione nei paesi sviluppati si sta normalizzando su livelli in linea con la stabilità dei prezzi, ma finora senza segnali di overshooting; gli utili societari negli USA e in Giappone sono prossimi ai picchi del dopoguerra secondo diversi parametri.

Da soli, questi fattori basterebbero ad alimentare un trend rialzista sui mercati azionari, del credito ed emergenti. E in effetti sono stati fra i maggiori driver degli ottimi rendimenti conseguiti lo scorso anno. Ma nel 2018 si è riaffacciato il rischio geopolitico – prevalentemente sotto forma di guerre commerciali, di recente attraverso sanzioni. In entrambi i casi si sono registrate ripercussioni negative sul debito emergente, sulle valute e sui mercati azionari.

A ciò si aggiunge l’impressione generale che le politiche alla base del conflitto economico internazionale – perlomeno sul fronte USA – difficilmente cambieranno fino alle elezioni statunitensi di metà mandato che si terranno a novembre, e forse resteranno tali anche in seguito. Un altro fattore che non lascia spazio a grandi ottimismi è la percezione che l’amministrazione USA non sia disposta a ricambiare i segnali di apertura lanciati dai partner commerciali per cercare soluzioni negoziali – cosa che potrebbe attenuare i timori di un’escalation.

Dietro la percezione di mercati privi di una chiara direzione si cela una più significativa biforcazione dei medesimi. Sul fronte azionario, il mercato statunitense è tornato ai massimi di gennaio e ciclici, mentre i mercati azionari europei e dei paesi emergenti hanno subito sonore batoste. Da qualche parte fra i due estremi si colloca il Giappone. Sui mercati dei cambi, il dollaro USA regna sovrano. Ma non tutte le valute emergenti sono malridotte – ad esempio, il peso messicano ha dimostrato un’ottima tenuta.

E non è nemmeno corretto affermare che le azioni USA debbano il loro successo solo ai titoli FAANG (Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google di Alphabet): certo, questa compagine ha messo a segno un altro semestre di performance astronomiche, ma anche i titoli di beni di consumo voluttuari statunitensi sono ai livelli massimi da inizio anno. E persino i settori che sono ancora ben al di sotto dei picchi di gennaio, come beni di consumo di base, settore sanitario e finanziario, hanno partecipato al recente rally di quest’estate.

Cosa manca, quindi, per completare il quadro? Innanzitutto, la tendenza degli investitori a prediligere la qualità rispetto al valore. Non ci riferiamo solo ai fattori azionari, ma più in generale al sentiment degli investitori. Come fattore azionario, l’area “quality” ha dato buoni risultati, ma la sovraperformance di quest’anno riflette un passaggio di più ampia portata dagli investimenti puramente dettati dalla propensione al rischio, che avevano caratterizzato le performance dei mercati nel 2017, alla ricerca di business model di comprovata efficacia o credibilità. Alla prima categoria appartengono le società che presentano un RoE superiore alla media e livelli di indebitamento inferiori alla media – ossia le imprese con solide fonti di utile operativo. Nella seconda categoria rientrano quelle società concepite per avere successo domani – come i “disruptor” nel segmento tecnologico e i fornitori di soluzioni di cloud computing – che oggi possono o meno generare flussi finanziari consistenti, ma hanno tutte le carte in regola per farlo in futuro.

L’Europa si classifica tra gli investimenti “value” piuttosto che “quality”, dato che la ripresa economica dal “soft spot” del primo trimestre 2018 rimane tiepida e poco convincente, con conseguenti utili societari poco brillanti. A livello regionale, le azioni statunitensi e una buona porzione di azioni giapponesi sono più rappresentative del fattore “quality”, dove la qualità implica fiducia nella generazione di utili.

Un altro segnale che testimonia come il solo fattore “value” non incarni lo spirito degli investitori di questi tempi è dato dalla biforcazione tra le valute dei paesi emergenti. Il Brasile offre forse una divisa sottovalutata con elevati rendimenti in contanti, ma il quadro fondamentale e politico del paese suscita più di qualche perplessità. Per il momento, il peso messicano rappresenta l’opzione “quality” relativa.

Se gli investitori ritengono erroneamente che i mercati siano apatici, privi di una chiara tendenza e inclini alla volatilità, il risultato sarà una paralisi. Si tratta di una situazione fin troppo diffusa in questo momento, accentuata peraltro dal de-risking stagionale. Ma se si considera la biforcazione per ciò che è realmente, la questione diventa: il fattore qualità continuerà a prevalere sul valore? Oppure, in alternativa, quando sarà ragionevole tornare a investire in asset poco costosi, soprattutto nell’universo emergente?

Vi sono buone probabilità di una moderata ripresa della crescita al di fuori degli Stati Uniti. A livello globale, le condizioni finanziarie continuano a fornire un certo sostegno, come pure i dati relativi all’aumento dei livelli di reddito, della domanda e degli investimenti. Inoltre, in caso di ripresa della crescita su scala mondiale, è probabile che l’apprezzamento del dollaro venga limitato.

Il vero ago della bilancia sarà pertanto la risoluzione del conflitto commerciale. Si possono ponderare svariati scenari e anche le motivazioni degli attori coinvolti, ma la radice del problema è tristemente nota a chi segue i negoziati per la Brexit. Più precisamente, è impossibile raggiungere un accordo negoziale se una parte non conosce i desideri dell’altra. Nel contesto della Brexit, l’incapacità del governo britannico di offrire condizioni avallate da una maggioranza governativa rende infruttuose le trattative con l’UE.

Per l’Europa o la Cina, i negoziati con gli Stati Uniti resteranno altrettanto improduttivi se le due regioni non comprenderanno le priorità di Washington. La linea degli Stati Uniti sembra poggiare su un assunto profondamente errato, secondo cui il commercio è un gioco a somma zero dove “chi vince piglia tutto”, anziché uno scambio vantaggioso per tutte le parti coinvolte. Il comportamento dell’amministrazione ha anche evidenti scopi politici, dato che strizza l’occhio a importanti gruppi di sostenitori in vista delle elezioni di metà mandato in programma a novembre.

Se gli scenari sin qui descritti si rivelassero corretti, verranno a mancare i presupposti per una rotazione dall’area “quality” all’area “value” – intese in senso lato – almeno fino a novembre e probabilmente anche oltre.

Di conseguenza la nostra raccomandazione è di continuare a puntare sulla qualità, anche se a maggior prezzo.


Larry Hatheway – capo economista – GAM Investments