La Brexit è ormai alle porte e Theresa May ha tempo solo fino a San Valentino per strappare nuove concessioni all’UE

Team Currency e Fixed Income - Neuberger Berman -

Sembra che con l’avvicinarsi del 29 marzo, giorno in cui la Brexit diventerà effettiva, alla Camera dei Comuni del Regno Unito si consumi ogni settimana un dramma costituzionale senza precedenti, in mezzo a un continuo fare e disfare di alleanze.

La settimana scorsa, tuttavia, spicca su tutte le altre: nella serata di martedì una serie di importanti votazioni ha mandato all’aria le tradizionali divisioni tra partiti, inviando una serie di segnali profondamente contrastanti.

Una cosa è sicura: il primo ministro Theresa May ha tempo fino al 14 febbraio, il giorno di San Valentino, per cercare di convincere l’Unione Europea a fare qualche concessione sul “backstop”, vale a dire l’accordo sui movimenti di merci e persone tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. Si tratta di un aspetto rilevante dell’accordo di uscita negoziato negli ultimi due anni, che è stato respinto senza mezzi termini dal Parlamento due settimane fa. In assenza di concessioni, la May dovrà concedere ai parlamentari un’altra possibilità di dibattere e votare sulle condizioni desiderate per la Brexit.

Assisteremo a una replica di quanto è accaduto martedì scorso? Oppure gli eventi prenderanno una nuova direzione? Sarà in grado Theresa May di riportare da Bruxelles un carico d’amore (o se non altro comprensione) sufficiente a conquistare il supporto della maggior parte dei parlamentari per l’accordo di uscita versione 2.0?

Emendamenti

Martedì scorso, il parlamento ha dibattuto e votato una serie di emendamenti a una mozione del primo ministro, nella quale la May chiedeva l’autorizzazione di modificare l’accordo di uscita. La maggior parte degli emendamenti è stata respinta. Ma due sono stati approvati: il primo specifica che il “Parlamento respinge” l’uscita del Regno Unito dall’UE in assenza di un accordo, mentre il secondo richiede che i termini del “backstop” vengano riformulati.

Se da un lato il primo emendamento riduce le probabilità di una hard Brexit, il secondo, che avanza una richiesta da sempre respinta dall’UE, le fa palesemente aumentare. Si tratta di una constatazione condivisa, tra l’altro, anche dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Non è escluso che Theresa May riesca a tornare in patria con una nuova formulazione dei termini legali relativi al “backstop” che le consenta di raccogliere una maggioranza per il suo accordo di uscita nel giorno di San Valentino.

Ora come ora, sarebbe pericoloso escludere una qualunque eventualità. Ma riteniamo che lo scarso entusiasmo sia per l’accordo di uscita che per una hard Brexit potrebbe sfociare in una consultazione elettorale per ritardare l’uscita dall’UE oltre il termine ultimo del 29 marzo. La campagna elettorale per le elezioni europee di maggio è già partita. Il Parlamento europeo eletto in quell’occasione dovrebbe ratificare l’eventuale accordo di uscita e questa circostanza rende estremamente appetibile la prospettiva di una proroga (magari addirittura di un anno).
Non dimentichiamo che i politici si lasciano facilmente andare ai loro giochi se ne hanno la possibilità.

Lenta combustione

Che cosa significa tutto ciò per gli investitori?
La view dei team Currency e Fixed Income è che una soft Brexit presenta un potenziale di rialzo del 3% circa per la sterlina, rispetto ai livelli attuali, nessuna Brexit un potenziale di rialzo del 10% circa e una hard Brexit un potenziale di ribasso del 10% circa. Valutiamo le probabilità di una soft Brexit pari al 60%, quelle di una hard Brexit al 30% e quelle di nessuna Brexit al 10%. Ponderando i movimenti potenziali in base alle rispettive probabilità si ottiene più o meno il livello a cui la sterlina viene attualmente scambiata.

Bisogna interpretare i giochi dei politici come sinonimo di una soft Brexit? Non proprio. Anche nel caso di un’uscita negoziata, di una rinuncia del governo britannico ad alcune “posizioni non patteggiabili” o, addirittura, di un annullamento della Brexit, dal punto di vista delle aziende non c’è molta scelta: i preparativi già avviati per far fronte a una hard Brexit devono proseguire. Ciò significa disinvestire ulteriormente dal Regno Unito, riorganizzare le catene logistiche globali che fanno capo al Regno Unito e ridurre i posti di lavoro nel Paese. Consideriamo questo scenario come una miscela a lenta combustione delle probabilità di una hard Brexit con le probabilità di una soft Brexit.

La sterlina pare sottovalutata se rapportata agli indicatori di lungo termine del fair value (ad esempio la parità del potere di acquisto), mentre i fondamentali economici del Regno Unito sono andati migliorando. Indubbiamente ciò è dovuto in parte alla crescita dei turisti, favoriti dall’indebolimento della sterlina, e all’aumento della domanda generato da alcune iniziative di accumulo di scorte, volte a ridurre al minimo i disagi nel caso di una hard Brexit. In ultima analisi, manterremo un orientamento cauto fino a quando il rischio di una hard Brexit non verrà meno o scontato nelle valutazioni. E potrebbero passare parecchi mesi prima questo accada.

Fiducia

Il nostro team che gestisce l’azionario globale preferisce evitare la volatilità associata ai negoziati sulla Brexit. Il team favorisce le società con sede nel Regno Unito ma operative a livello globale, che offrono maggiori probabilità di resilienza fintanto che il quadro non diventa più chiaro. Il team mantiene inoltre una view positiva sulle società britanniche storicamente quotate in borsa, che offrono un’esposizione a temi di crescita strutturali, quali utilizzo dei big data, una distribuzione a valore aggiunto, servizi specializzati e assicurazioni vita in Nord America e nei mercati emergenti.

Tuttavia, considerato l’elevato livello di incertezza rispetto alla valuta, alle politiche monetarie, politiche fiscali e domanda dei consumatori, il team preferisce attendere punti di entrata più interessanti, prima di investire in aziende dipendenti dall’economia interna, come le banche e le società di sviluppo immobiliare.

In definitiva, l’incertezza regnerà sovrana di qui al 14 febbraio e, molto probabilmente, anche oltre. Due terzi del PIL del Regno Unito sono generati dai consumi e un decimo dagli investimenti delle società. A soli due mesi dalla fatidica data, resta da vedere se il Paese saprà manovrare una soft Brexit, capace di limitare i danni di breve termine all’economia, o se dovrà affrontare un periodo di netto calo della fiducia sia tra i consumatori che tra gli investitori.