La politica monetaria non è la soluzione per la recessione

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L’attuale momento di difficoltà dell’economia mondiale è destinato a proseguire. Eventuali tentativi di tamponamento saranno solo a carico della Fed, ma non saranno così efficaci da innescare una ripresa e potranno, al limite, solo rallentare la velocità della direzione in corso. La politica monetaria non ci salverà da un’altra recessione, come non ci ha mai salvato da quelle che abbiamo avuto in passato, sebbene il consensus creda che modificando il livello dei tassi il mondo possa cambiare.

I fondamentali dell’economia internazionale continuano a deteriorarsi e, dopo una contrazione costante ed inesorabile di tutti gli indicatori che è in corso ormai dall’inizio del 2018, si cominciano a evidenziare sensibili rischi di recessione. Tuttavia, dall’inizio di settembre, i tassi d’interesse sulla parte lunga della curva di Europa e Usa hanno cominciato a risalire e sembrano prezzare un possibile scenario di ripresa economica. Anche i mercati azionari hanno evidenziato attese di un recupero del ciclo scontando l’attuale contrazione dei profitti come un fenomeno temporaneo, nonostante al momento non ci siano segnali che l’economia possa cambiare direzione e invertire l’attuale trend di contrazione.

Gli investitori sperano che gli allentamenti monetari recentemente introdotti da Fed e Bce possano in qualche modo far ripartire la crescita e tornare ad alimentare consumi e investimenti. Ma questi due elementi portanti della fase espansiva degli ultimi anni sono ormai in una fase di contrazione evidente ed eventuali miglioramenti rischiano di essere solo temporanei. Gli investimenti globali sono in cedimento da circa 24 mesi e il consumer spending Usa, che ha sostenuto la performance del Pil americano, ha iniziato a rallentare in concomitanza con il rallentamento del credito al consumo, che è il fattore fondamentale per sostenere una crescita basata sui consumi interni finanziati del debito. Le istituzioni più attive nel segmento del credito al consumo non vedono più crescita del business in questo settore ed evidenziano un netto aumento delle sofferenze proprio sulla linea di business che ha sostenuto il ciclo dell’economia e il Pil. Il margine d’interesse cresce perché aumentano i tassi d’interesse a carico dei debitori ma non perché aumenta il credito erogato al sistema. Oggi i consumatori americani pagano sul credito i tassi più alti degli ultimi 25 anni a causa della qualità del credito erogato, che è la peggiore di sempre, con una percentuale di subprime del 30%. Essa consente (per ora) alle istituzioni finanziarie Usa di lucrare ampi margini sul credito speculativo erogato ad alti tassi d’interesse. Appare tuttavia evidente che tale meccanismo sta iniziando a cedere, anche se i debitori sono al momento ancora nello stato di piena occupazione, e pone seri rischi di sostenibilità per la crescita Usa e per le speranze degli investitori di una imminente ripresa dell’economia.

Per quanto riguarda il trend degli investimenti globali, difficilmente potremmo assistere a una inversione di tendenza dell’attuale contrazione in corso. La pianificazione degli investimenti di un’impresa è un meccanismo di lungo termine e la guerra commerciale globale scatenata dagli Stati Uniti non favorisce una imminente ripresa del ciclo degli investimenti, neppure se si cerca di risolvere le dispute con l’approccio graduale appena introdotto dai negoziatori americani, cercando di ottenere piccoli accordi circoscritti a singoli problemi.

Proseguendo le difficoltà dei due settori principali che hanno sostenuto il ciclo economico recente, investimenti globali e consumi Usa sostenuti del debito, sarebbe lecito attendersi un sostegno proveniente dalle politiche fiscali sia in Europa che negli Stati Uniti e in Cina. La Cina ha già in corso politiche fiscali espansive da circa quattro anni ma non sembra che questo sia stato utile al resto del mondo o alla stessa Cina. Gli Stati Uniti si trovano ad affrontare un difficile anno elettorale che non facilita accordi fiscali di sostegno al ciclo, che richiedono un accordo bipartisan, mentre l’Europa si dibatte nell’eterno dilemma di chi e quanto stimolo fiscale si dovrebbe fare per sostenere un economia ormai in recessione. Sembra quindi evidente che tutto il sostegno all’economia internazionale sia ora passato sulle spalle della Fed, che si trova costretta a ripartire con politiche espansive quando fino a qualche mese fa era invece ancora convinta di dover alzare i tassi.

In un tale contesto, per i prossimi mesi c’è da aspettarsi un dollaro debole in prospettiva verso tutte le divise a causa delle esigenze di riduzione dei tassi Usa per contrastare un economia in area pre-recessiva. L’Oro sarà in rialzo, sostenuto da politiche monetarie espansive e per un aumento dei rischi di recessione nel 2020. Il rimbalzo dei tassi sulla parte lunga della curva è invece destinato a rientrare per il persistente scenario di debolezza dell’economia globale e per la mancanza imminente di politiche fiscali espansive in grado di modificare la situazione. L’azionario sarà supportato a breve da attese di politiche monetarie espansive in Usa, ma i pericoli di una delusione sulle possibilità di ripresa dell’economia espongono i listini a significativi rischi di inversione dai recenti massimi. Gli indici dei principali mercati si preparano ad affrontare un contesto macroeconomico decisamente negativo, sebbene la debolezza attesa sul dollaro apra a possibilità di recupero degli indici emergenti.