Cosa implicano le tensioni tra Stati Uniti e Iran per gli investitori?

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I mercati finanziari sembrano segnalare che la situazione in Medio Oriente non sfuggirà di mano, ma gli attriti tra Stati Uniti e Iran potrebbero non avere vita breve. L’industria della difesa e i settori legati al petrolio e al gas potrebbero rimanere ben supportati, ma a livello generale riteniamo che gli investitori debbano mantenere un atteggiamento cauto e paziente. La selezione di titoli di elevata qualità caratterizzati da bassa correlazione con il mercato e la “ricerca di income” sono importanti qualora si vogliano limitare i rischi legati alla volatilità.

Da qualche tempo monitoravamo la situazione in Medio Oriente, consapevoli del fatto che un’eventuale esplosione delle tensioni avrebbe potuto impattare significativamente sui mercati globali. La scintilla sembra essere scoppiata nelle ultime settimane, con gli Stati Uniti e l’Iran vicini ad un conflitto militare. La reazione dei mercati finanziari suggerisce che la situazione non dovrebbe sfuggire di mano, ma il contrasto potrebbe comunque non avere vita breve. Pensiamo che gli investitori dovrebbero prepararsi a “cavalcare” la volatilità iniziale, conseguente a questa situazione, ed essere pronti a rivalutare le posizioni quando si manifesteranno segnali di riduzione dell’escalation.

Cosa è successo?

Gli Stati Uniti e l’Iran hanno intensificato le tensioni nelle ultime settimane. Se da un lato è ragionevole aspettarsi un confronto prolungato tra le due nazioni, dall’altro crediamo che nessuno dei due voglia iniziare una guerra vera e propria. Inoltre, l’Iran è stato indebolito dalle continue sanzioni economiche e potrebbe non essere in grado di intraprendere un’azione militare importante. Ma la situazione rimane imprevedibile e il rischio di un’ulteriore escalation tra Stati Uniti e Iran – e di turbolenze in tutta l’area – rimane significativo.

Quali implicazioni per i mercati?

Se da un lato siamo preoccupati che la situazione in Medio Oriente sia diventata molto più complessa negli ultimi mesi, dall’altro i mercati finanziari si sono mostrati resilienti e sembrano ritenere che la situazione non diventerà incontrollabile. Stanno iniziando a delinearsi reazioni diverse in risposta ai possibili scenari nelle tensioni tra Iran e Stati Uniti:

  • Un iniziale sell-off su notizie di scontri o di forte retorica da parte dei leader.
  • Un rimbalzo ogni volta che i trader ritengono improbabile che l’ultima escalation influisca sul mercato nel suo complesso.

La resilienza che abbiamo visto sembra essere in parte dovuta al fatto che molti investitori sono già posizionati in modo difensivo, avendo utilizzato la forte performance del 2019 per ridurre l’esposizione azionaria e prendere profitti. Nel complesso, la dipendenza globale dal petrolio iraniano è diminuita dagli anni Settanta, rendendo meno minaccioso il potenziale danno economico. Ciononostante, vi è stata una certa reazione in alcuni mercati, in particolare nelle asset class definibili come “flight-to-safety”. L’oro è tornato a livelli più elevati, il dollaro USA si è rafforzato, i rendimenti dei titoli governativi USA sono diminuiti, e i settori aerospaziale e della difesa hanno registrato un rally a seguito dell’acuirsi delle tensioni.

Quali implicazioni per il petrolio?

Finora gli aumenti del prezzo del petrolio sono stati relativamente modesti: i prezzi del greggio Brent sono saliti di circa il 4% lunedì, prima di scendere di nuovo sulle notizie della de-escalation. Un rialzo ben al di sotto del 15% cui abbiamo assistito a settembre dopo lo sciopero delle società petrolifere in Arabia Saudita – e, in ogni caso, va evidenziato che i prezzi sono scesi di nuovo abbastanza rapidamente dopo quell’episodio.

Ulteriori turbolenze in Medio Oriente potrebbero generare un premio al rischio per il petrolio e causare interruzioni nelle forniture, spingendo al rialzo i prezzi e ostacolando la futura crescita economica globale. L’aumento del petrolio danneggerebbe anche la maggior parte delle economie asiatiche che, ad eccezione della Malesia, sono importatrici nette.

La visione di consensus per il 2020 è che le forniture di petrolio sono adeguate, in presenza di una domanda globale debole, ma gli investimenti in Messico, Brasile, Medio Oriente e Regno Unito sono in calo, controbilanciati solo dalla Norvegia. La produzione di shale-oil negli Stati Uniti sembra improbabile che aumenti molto fino al 2021, quindi secondo noi esiste un rischio elevato che emergano ulteriori problemi a livello di offerta, e questo potrebbe spingere in una certa misura i prezzi al rialzo.

Quali implicazioni per gli investitori?

In un contesto caratterizzato da un lato da diffuse incertezze ed ostacoli a livello politico, strutturale e ciclico, e dall’altro da un sostegno persistente (anche se in calo) da parte della politica monetaria e fiscale, ci aspettiamo che l’economia globale nel 2020 proseguirà il proprio trend di crescita anemica e inferiore al potenziale. Questo rapido deterioramento in Medio Oriente non sarà certamente di supporto per la congiuntura globale, e potrebbe aver aumentato il profilo di rischio a breve termine nei mercati asiatici, nonostante l’attuale contesto macro.

Di fronte all’incertezza, esortiamo alla prudenza e alla pazienza. Suggeriamo agli investitori di rivalutare le posizioni una volta che vi saranno segni di un’attenuazione delle tensioni tra Stati Uniti e Iran.

Nel frattempo, i settori della difesa, così come i settori legati al petrolio e al gas, potrebbero performare positivamente, ma la priorità degli investitori dovrebbe essere quella di mantenere la diversificazione, privilegiando i titoli di elevata qualità, meno volatili e con bassa correlazione con il mercato nel suo complesso.