Serviranno 2 trilioni di dollari per sostenere l’economia nel 2020

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Nel 2020 la gestione delle variabili finanziarie si farà decisamente più difficile per i policy makers. L’Europa rimarrà in recessione e dovrà affrontare la Brexit mentre l’incertezza sul trade deal tra Cina e Usa continuerà a pesare sugli investimenti globali, le elezioni Usa eserciteranno un ulteriore freno alle decisioni dei Ceo per nuovi investimenti e la Cina continuerà a rallentare, come sta facendo da oltre sette anni. A questo punto, si spera in ulteriori interventi da almeno altri 2 trilioni di dollari per evitare danni che potrebbero costare molto cari, anche se non c’è alcuna certezza che possano funzionare in eterno.

Si è concluso uno degli anni migliori della storia in termini di performance per i mercati azionari, nonostante le evidenti difficoltà dell’economia internazionale e il costante calo dei profitti delle società quotate. Anche nel 2019 i buy back hanno costituito il principale fattore di sostegno ai prezzi dei listini Usa e le società americane hanno speso circa 850 miliardi di dollari per spingere le quotazioni su nuovi massimi storici. In aggiunta a tale massiccio intervento, che ha consentito al mercato azionario di innescare il recupero dopo le cadute rovinose di fine 2018, si è aggiunto un nuovo intervento della Fed, che ha iniettato nel sistema finanziario americano circa 400 miliardi di dollari di liquidità. Ma nonostante tutte queste manovre, se dovessimo misurare le performance del mercato azionario Usa dal suo massimo di ottobre 2018, l’indice S&P500 ha messo a segno una rivalutazione dell’8% a fronte di interventi straordinari di sistema di 1,25 trilioni di dollari. L’Eurostoxx ha certamente beneficiato di un “effetto di trascinamento” ma l’indice delle borse Ue ha avuto una rivalutazione del 3,5% rispetto ai massimi del 2017 e si trova ancora sotto i massimi relativi del 2015. Sembra dunque che, nonostante il costante supporto di Fed e buy back, la performance degli ultimi 18 mesi non sia stata così eclatante come appare invece dai calcoli fatti in prossimità dei minimi di gennaio 2019.

Poiché i buy back dipendono dai profitti annuali è lecito attendersi un netto ridimensionamento di tale attività nel 2020, dato che ormai siamo entrati in una recessione dei profitti che non sembra facilmente risolvibile da un ulteriore quantitative easing. Per quanto riguarda invece gli interventi Fed, che sono indotti da una situazione di crisi in qualche area del settore finanziario con eccesso di leva, è probabile che dovranno continuare perché la situazione è talmente critica da richiedere un supporto continuo.

La Borsa Usa sta attualmente festeggiando in una situazione di crisi evidente di un sistema che richiede costantemente interventi straordinari per non implodere e tale sostegno non evidenzia certamente una caratteristica di forza o di stabilità a termine. Se il vero problema è la leva finanziaria e il debito speculativo circolante, l’unica possibilità che ci rimane, per ora, è che i tassi scendano ancora, almeno negli Stati Uniti, al fine di continuare ad assistere e sostenere le posizioni long a benchmark su credito ed equity. Tuttavia, nella situazione attuale, la Fed preferisce non toccare i tassi e aggiungere liquidità per tamponare, ma tale situazione rischia di non essere sufficiente se l’economia continuerà a galleggiare sull’orlo della recessione sia in Europa sia negli Stati Uniti per i mesi a venire. Infatti, gli “interventi” sotto forma di Qe e buy back sono comunque sempre vulnerabili a un risk off e al deleverage del sistema. E’ paradossale che un’economia come quella Usa stia evidenziando un netto calo della crescita, con un’occupazione ai massimi di sempre e i consumi finanziati come mai è accaduto prima nella sua storia. Le difficoltà recentemente registrate dal ciclo americano hanno indotto l’amministrazione Trump a sbandierare un accordo commerciale che in sostanza non esiste, al fine di non intaccare una propensione al rischio che necessita anche di una buona dose di notizie poco credibili, che grazie all’intelligenza artificiale degli algoritmi vengono prese per vere.

Il sistema finanziario mondiale è praticamente defunto e senza aiuti esterni non può reggere più le bolle speculative che ha creato in questi anni. Tuttavia, non è garantito che tali interventi ci possano evitare l’incidente sistemico in cui siamo ripetutamente incappati nella storia in seguito a eccessi speculativi. I tempi si sono semplicemente dilatati perché i policy makers cercano di sostenere la propensione al rischio a ogni costo per evitare la prossima crisi, ben sapendo che potrebbe essere molto peggiore di quella del 2008. Tuttavia la propensione al rischio ha sempre un limite che dipende dalle attese di profitto futuro. Il consenso crede che nessuno sarà disponibile a liquidare asset per investire a tassi zero, ma se tali asset dovvesero produrre perdite, la scelta tra perdere e non guadagnare sarà a favore della seconda. Quindi, se le posizioni a leva che oggi sono all’epicentro dei problemi del mercato dei pronti contro termine negli Stati Uniti sostengono asset che rischiano di perdere di valore, gli operatori liquideranno tali posizioni indipendentemente dal livello dei tassi e indipendentemente dalla liquidità che la Fed sarà disposta a offrire al mercato. Lo stesso ragionamento vale per tutte le asset class a rischio detenute dagli investitori nei loro portafogli d’investimento.

L’attuale situazione si farà sempre più difficile nel corso del 2020 perché, nonostante gli interventi di sostegno per salvare gli operatori in difficoltà, la circolazione del credito si farà sempre più scarsa procurando un ulteriore peggioramento del quadro macroeconomico Usa. Rimaniamo convinti delle nostre posizioni long di oro e Treasury Usa a 30 anni, così come rimaniamo short di azionario e dollaro Usa. L’amministrazione Trump dovrà affrontare le elezioni del 2020 contro l’avversario più temibile, che non sarà né un candidato democratico né il governo cinese, ma un’economia in evidente difficoltà sull’orlo di una recessione, utili delle società quotate in costante contrazione e l’inizio di un quasi probabile cedimento del mercato del lavoro.