La volatilità di mercato in un’ottica di lungo termine: Ci siamo già passati!

Capital Group -

Si tratta dell’ennesimo déjà vu. L’epidemia di coronavirus, il conseguente rallentamento economico e la violenta reazione di mercato hanno indotto molte persone a guardare con sospetto agli investimenti.

L’ultima volta che è successa una cosa simile è stato durante la Grande recessione. Ricordo ancora quel giorno dell’agosto 2008 in cui ho condiviso con i miei colleghi un discorso dell’ex Presidente di Capital Group Jim Fullerton. Quel discorso, pronunciato nel novembre 1974 durante una protratta fase ribassista, ci ha fornito un’importantissima prospettiva storica e una dose di ottimismo di cui c’era grande bisogno.

La “Lettera Fullerton”, come la chiamiamo in Capital Group, ha ripreso a circolare tra i membri del nostro team d’investimento almeno quattro volte da quando faccio questo lavoro. La mia collega Claudia Huntington, veterana della gestione di portafogli azionari, l’ha condivisa nel 1987 dicendo: «Ho conservato questo discorso, che è tra i miei preferiti, per momenti come quello attuale.» Credo che sia stato condiviso così tante volte perché Jim ha colto alla perfezione ciò che tutti sappiamo. La notte è sempre più buia prima dell’alba.

Nel tempo, e col tempo, i mercati finanziari hanno dimostrato una straordinaria capacità di anticipare un futuro migliore anche nel mezzo di notizie orrende. La rapidità e la gravità dell’attuale epidemia di Covid-19, unitamente alle enormi conseguenze comportamentali ed economiche, per non parlare della perdita di vite umane, metteranno sicuramente alla prova la determinazione dei mercati. Il ritmo è molto più serrato rispetto alla crisi finanziaria globale, durata 18 mesi dal picco al minimo.

Stiamo navigando in acque inesplorate. La paura è tanta. Sono esattamente queste emozioni a rendere quel discorso così senza tempo. È stato proprio nel mezzo di uno scenario così fosco che i mercati hanno invertito rotta. Questa volta, è difficile dire quando si verificherà l’inversione di tendenza. Ma sapere che prima o poi i mercati si riprenderanno dovrebbe fornire conforto.

Nel novembre del 1974, erano in pochi a pensare che fosse il momento buono per investire. L’indice Dow Jones aveva perso più del 40% dal picco di gennaio 1973. Nella sua lettera, Jim Fullerton citò un periodo ancora più buio nella storia della nazione: l’aprile del 1942. Ecco le sue parole.

«Coraggio! Ci siamo già passati»

Uno dei motivi per cui osserviamo un tale livello di pessimismo, sconforto, confusione e angoscia nelle menti di intermediari e investitori è che molte persone non hanno mai vissuto niente che possa somigliare all’attuale flessione dei mercati. Il mio messaggio a tutti voi è dunque: Coraggio! Ci siamo già passati. È già successo che le fasi ribassiste durassero così tanto. I fondi comuni ben gestiti hanno già superato prove come questa e i loro azionisti e gli operatori di settore sono sopravvissuti e prosperati.

Non so se abbiamo raggiunto il minimo assoluto di questa protratta fase ribassista (mentre credo che molti titoli abbiano già toccato il fondo).

Ogni crisi economica, di mercato e finanziaria è diversa da quella precedente. Ma tutte hanno qualcosa in comune: ognuna è caratterizzata da un insieme specifico di fattori non ricorrenti, un insieme specifico di problemi apparentemente irrisolvibili e un insieme specifico di motivi apparentemente logici per cui ha senso essere pessimisti circa il futuro.

Oggi siamo economisti, banchieri, investitori e imprenditori sagaci, esperti e rispettati, in grado di spiegarvi in maniera articolata, logica e documentata perché questa fase ribassista è diversa, perché questa volta i problemi economici sono diversi, perché questa volta le cose peggioreranno e, pertanto, perché questo non è un buon momento per investire in azioni ordinarie, benché possano apparire scontate. L’opinione prevalente in questo momento è che le incertezze sono troppo numerose e inquietanti e i problemi che dobbiamo affrontare così smisurati, sia nel breve che nel lungo termine, da poter far sperare solo in una ripresa effimera fino a che almeno alcune di tali incognite non saranno state risolte. È una partita mai giocata prima.

Una partita mai giocata prima

Nel 1942 tutti sapevano che si trattava di una partita del tutto nuova. Altroché se lo era! Incertezze? Eravamo tutti in guerra, e stavamo perdendo. I tedeschi avevano invaso la Francia, gli inglesi erano stati sconfitti a Dunkirk, la flotta del Pacifico era stata disastrosamente decimata a Pearl Harbor. Noi avevamo perso Bataan e gli inglesi Singapore. La guerra aveva trovato gli Stati Uniti così impreparati che la scuola di cavalleria di Fort Riley continuava a dare lezioni di equitazione, e probabilmente il 75% della nostra artiglieria di campo era dotato di “canon de 75 mm Modèle 1897” francesi trainati da cavalli (compreso il battaglione in cui ero arruolato).

Nell’aprile 1942 l’inflazione dilagava. Un bollettino della Federal Reserve recitava: «Gli aumenti dei prezzi generali sono diventati una grave minaccia alla produzione efficiente di materiali bellici e alla stabilità dell’economia nazionale.» Oggi a preoccupare è la frenata dell’edilizia residenziale. L’8 aprile 1942 l’articolo principale del Journal titolava: «Edilizia residenziale. Nettamente indietro rispetto allo scorso anno. Le nuove restrizioni di questa settimana causeranno un’ulteriore frenata…Costruttori privati gravemente colpiti.»Oggi quasi tutte le riviste e i commenti finanziari elencano i motivi per cui gli investitori sono fermi nelle retrovie. Tra questi figurano: 1) la continua inflazione, 2) l’illiquidità del sistema bancario, 3) le carenze energetiche, 4) il potenziale scoppio di nuove ostilità in Medio Oriente e 5) i tassi d’interesse elevati. Sono tutti problemi molto seri.

Ma in quel sabato dell’11 aprile 1942 (eh sì, un tempo le borse erano aperte anche di sabato), il Wall Street Journal scrisse: «Secondo gli operatori di borsa, tra i fattori che stanno scoraggiando i potenziali investitori figurano: 1) l’aumento delle sconfitte delle Nazioni Unite, 2) il vantaggio dei tedeschi in Libia, 3) i dubbi circa la capacità di resistenza della Russia una volta che la Germania sarà pronta all’attacco totale, 4) la crescente criticità dei trasporti oceanici delle Nazioni Unite, infine 5) le misure di razionamento più drastiche attualmente al vaglio a Washington, tra cui il controllo dei prezzi o l’ulteriore innalzamento delle tasse per colmare il “divario inflazionistico” tra l’aumento del potere d’acquisto pubblico e la diminuzione dell’offerta di beni di consumo.» Praticamente tutti questi timori si sono concretizzati e acuiti.

Quello stesso giorno, parlando della lenta erosione dei corsi azionari di molti settori, un rinomato analista azionario affermò: «Il mercato non ha la più pallida idea di cosa scontare nei prezzi. Ad oggi, mancano segnali indicanti il raggiungimento permanente delle condizioni necessarie ad avviare una ripresa duratura.» Eppure, il 28 aprile 1942, in quello scenario cupo e nel bel mezzo di una guerra che stavamo perdendo, dinanzi alla prospettiva di tasse sugli utili in eccesso e di controlli su stipendi e prezzi, dinanzi alla mancanza di benzina, gomma e altre materie prime fondamentali, e con la certezza matematica che una volta finita la guerra saremmo entrati in una fase di depressione post-bellica, il mercato ha invertito rotta.

Il ritorno alla realtà

Cosa fece invertire rotta ai mercati nell’aprile del 1942?

Semplicemente il ritorno alla realtà. Semplicemente la lenta ma graduale ammissione che malgrado tutte le cattive notizie, malgrado le prospettive fosche, gli Stati Uniti sarebbero sopravvissuti, e con loro le imprese americane ben finanziate e ben gestite. La realtà era che quelle aziende valevano molto di più di quanto indicassero le quotazioni di borsa delle loro azioni. E così, il 29 aprile 1943, senza nessuna ragione apparente, gli investitori tornarono a riconoscere la realtà.

Il Dow Jones Industrial Average non è la realtà. I rapporti prezzo/utili e gli studi tecnici di mercato non sono la realtà. I simboli sul nastro non sono il mondo reale. Nel mondo reale, le società creano ricchezza. I certificati azionari no. Sono semplicemente surrogati di realtà.

Vorrei concludere con una citazione:

«C’è chi dice di voler aspettare una visione più chiara del futuro. Ma quando il futuro tornerà ad essere chiaro, le occasioni saranno svanite. Chi pensa che i prezzi rimarranno sui livelli odierni una volta che la fiducia sarà stata pienamente ristabilita?»

Questa frase è stata pronunciata nel maggio del 1932, 42 anni fa, da Dean Witter, a poche settimane dalla fine della peggiore fase ribassista della storia.

Fatevi coraggio! Ci siamo già passati: siamo sopravvissuti e prosperati.